Hong Kong: la posta in gioco

Pechino al bivio fra  repressione e dilpomazia ribadisce: Hong Kong è Cina

di Maurizio Sacchi

Il 12 e 13 agosto, l’aereoporto di Hong Kong è rimasto chiuso al traffico aereo in seguito alla occupazione dello scalo da parte dei manifestanti. La protesta si origina dal mancato ritiro della proposta di legge sull’estradizione, che avrebbe permesso alle autorità dell’ex colonia britannica di affidare alla giustizia di Pechino gli incriminati per una serie di reati. Già dall’inizio delle proteste la norma è stata congelata; ma si chiedono sia il suo ritiro definitivo, sia le dimissioni della governatrice, accusata ora anche di brutalità nella repressione. I manifestanti hanno promesso di continuare il loro movimento fino a quando le loro richieste fondamentali non saranno soddisfatte, come le dimissioni della governatroce della città, Carrie Lam, un’inchiesta indipendente sulle tattiche della polizia, un’amnistia per gli arrestati e un ritiro permanente del disegno di legge.

Il 14 di agosto, foto da satellite diffuse dai media hanno mostrato forti contingenti di forze cinesi addensati nella città di Shenzen, proprio al di là del confine con Hong Kong. Le autorità cinesi hanno commentato che si tratta di esercitazioni programmate da tempo; ma, davanti alle proteste e agli ammonimenti che vengono da più parti nello scenario internazionale, ha anche reagito con durezza, invitando a non interferire negli “affari interni” della Cina.

“Un Paese, due sistemi”

Benché nel trattato che sanciva la fine del Dominion britannico fosse previsto che la ex colonia godesse di ampia autonomia, e di un sistema democratico aperto, il principio chiaro era che Hong Kong è Cina. Il modo di conciliare l’economia capitalista della ricchissima metropoli con quella mista del resto del Paese si riassume in questa formula – “Un Paese, due sistemi” che fino ad oggi è sembrata funzionare.

 Per 24 anni consecutivi Hong Kong è stata classificata come l’economia più libera del mondo nell’indice di libertà economica della Fondazione Heritage, sin dalla sua istituzione nel 1995. Heritage è un think-tank americano, di orientamento conservatore, che ogni anno valuta i Paesi per quanto riguarda le opportunità di mercato, e la libertà di impresa e di concorrenza. Hong Kong è l’unica economia ad aver segnato 90 punti o più sui 100 punti della scala, meta raggiunta nel 2014 e nel 2018. Il sistema bancario di Hong Kong è aperto e internazionale. Ma le prime sei banche sono tutte nate e hanno base a Hong Kong, dalla potentissima Hong Kong and Shanghai Banking Corporation (HSBC), alla Bank of China. 

La sua economia è governata da un non-interventismo positivo ed è fortemente dipendente dal commercio e dalla finanza internazionali. Per questo motivo è considerata tra i luoghi più favorevoli per avviare un’azienda. In effetti, uno studio recente mostra che Hong Kong è passata da 998 start-up registrate nel 2014 a oltre 2800 nel 2018,  eCommerce (22%), fintech (12%), software (12%) e pubblicità (11%) i settori di attività più importanti (CNN Business)

Il diplomatico cinese Yang Jiechi ha intimato agli Stati Uniti di “smettere immediatamente di interferire negli affari di Hong Kong in qualsiasi forma”. Yang Jiechi è un politico e diplomatico cinese di alto livello. Dal 2013 è direttore dell’Ufficio degli Affari Esteri del Partito Comunista Cinese. Rispondeva a Donald Trump, che è intervenuto sulla questione raccomandando un “trattamento umano” per i dimostranti.  La risposta più significativa del governo di Hong Kong alla minaccia rappresentata dalle manifestazioni è stato l’annuncio di una serie di misure di sostegno sociale, con l’intento di togliere consenso ai dimostranti : abolizione di 27 tasse  governative; riduzione degli affitti per la maggior parte delle locazioni di terreni pubblici a comunità e imprese; potenziamento di due fondi governativi  a sostegno del consumo interno e del marketing per l’esportazione; e sostegno del credito alle piccole e medie imprese.

Un intervento armato di Pechino sarebbe un fallimento per l’attuale dirigenza della Repubblica popolare, che non solo vedrebbe riapparire lo spettro di piazza Tienanmen di 30 anni fa, e mostrerebbe la sua incapacità di conquistarsi il consenso dei 7 milioni di abitanti di Hong Kong, ma  sarebbe soprattutto un colpo fatale per la sua’immagine di porto sicuro per affari e finanza internazionali.

nell’immagine uno scatto di Julia Tet per Unsplash

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