di Alice Pistolesi
La polizia morale è tornata, in massa, per le strade dell’Iran. Il portavoce delle forze dell’ordine iraniane, Saeid Montazeralmahdi, ha confermato domenica 15 luglio che le pattuglie della polizia sono operative a piedi e con veicoli con l’obiettivo di far rispettare le regole dell’hijab nel Paese. Ai media statali Montazeralmahdi ha riferito che la polizia morale “lancerebbe avvertimenti e poi presenterebbe al sistema giudiziario persone che purtroppo insistono sul loro comportamento contrario alle norme senza preoccuparsi delle conseguenze”. Le donne ritenute inadempienti alle regole potrebbero essere arrestate e portate nelle cosiddette ‘strutture di rieducazione’ gestite dalla polizia.
L’annuncio arriva dieci mesi dopo la morte di Mahsa Amini, la ventiduenne deceduta mentre si trovava in custodia della polizia dopo essere stata arrestata per una presunta violazione del codice di abbigliamento. La sua morte ha scatenato proteste di massa in tutto il Paese che sono durate per mesi. Un periodo in cui il movimento spontaneo guidato da moltissime donne, ma sostenuto anche dagli uomini, è stato duramente represso (si stima che siano stati uccisi oltre 500 manifestanti e siano circa 20mila i detenuti) anche se non dalla polizia morale, che è stata in gran parte assente dalle strade iraniane. Nei mesi il movimento aveva attirato l’attenzione del mondo e ricevuto un forte sostegno internazionale. In tutti questi mesi le donne, soprattutto a Teheran, hanno continuato a sfidare il codice di abbigliamento, nonostante l’attenzione dei media sia scemata nel tempo.
In questi mesi di apparente fermo la polizia ha comunque utilizzato telecamere di sorveglianza per identificare che trasgrediva alle regole dell’hijab. Fonti locali contattate da atlanteguerre.it (anonime per ragioni di sicurezza) rivelano che anche dopo l’annuncio dello scioglimento della polizia morale nelle strade è continuata una sorta di repressione. Forze in borghese e senza i tipici furgoni erano comunque sparse nelle strade. Oggi come ieri chi viene colto a violare il codice di abbigliamento mentre si trova nei propri veicoli potrebbe subire il sequestro delle auto. Anche molti caffè, ristoranti e centri commerciali sono stati presi di mira dalle telecamere e rischiano la chiusura per aver servito donne con l’hijab indossato ‘largo’. Secondo le nostre fonti, inoltre, il ritorno ufficiale polizia morale potrebbe essere un tentativo del Governo per capire quanto può spingersi nella repressione o se è più opportuno mantenere bassa l’attenzione mediatica e non esporsi troppo.
Until all these laws and regulations are scrapped, the same violence that resulted in the death in custody of Mahsa (Zhina) Amini in 2022 will continue against millions of other women and girls in Iran. pic.twitter.com/eGi3Masx6x
— Amnesty International (@amnesty) July 18, 2023
Un episodio di repressione che ha fatto il giro del web è stato l’arresto, domenica 15 luglio, dell’attore Mohamad Sadeghi, catturato dopo aver pubblicato un video in cui criticava le nuove incursioni della polizia morale nelle strade. Un attimo prima del suo arresto l’attore stava facendo un video su Instragram. L’irruzione dei pasdaran, arrivati sfondando le finestre del terzo piano della sua abitazione, è stata quindi ripresa dallo stesso attore. Così come anche il suo tentativo di fuga. Sadeghi, come altre personalità della musica e dello spettacolo, ha sostenuto attivamente la protesta, sfruttando il suo seguito di ammiratori. Il suo arresto ha suscitato numerose reazioni di solidarietà sui social media, anche da parte della comunità internazionale.
Nei giorni scorsi anche l’attrice Azadeh Samadi è stata condannata da un tribunale a un divieto di sei mesi sull’uso dei social media e del suo telefono cellulare oltre alla terapia obbligatoria per curarla da una “malattia della personalità antisociale” dopo aver partecipato al funerale di un regista teatrale senza velo nel mese di maggio. Samadi fa parte di un gruppo di attrici che sono state convocate o condannate negli ultimi mesi per aver abbandonato il velo pubblicamente o online.
Ma la repressione verso il mondo dello spettacolo non è una novità. Il 22 settembre, sei giorni dopo l’inizio delle proteste, il comitato segreto istituito per punire le celebrità che sostenevano le piazze aveva inviato al ministero dell’Economia un elenco di 141 personaggi noti da tenere sotto controllo. Nel frattempo, il governo e il parlamento stanno lavorando a una legge che punta a rafforzare i controlli dell’hijab, ma il disegno di legge è stato preso di mira dagli oppositori conservatori che sostengono che il testo sia troppo indulgente.
Intanto proseguono anche i lavori della missione conoscitiva delle Nazioni Unite istituita per indagare sulla repressione a seguito di una sessione speciale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite nel novembre 2022. Riferendo al consiglio il 5 luglio 2023, Sara Hossain, presidente della missione internazionale indipendente, ha affermato che 10 mesi dopo il “diritto alla verità e alla giustizia della famiglia Amini rimane insoddisfatto”. “La mancanza di trasparenza – ha aggiunto – intorno alle indagini sulla sua morte è ulteriormente evidenziata dall’arresto e dalla detenzione delle due giornaliste, Nilufar Hamedi ed Elahe Mohammadi, che per prime hanno riferito dell’evento”. L’Iran ha affermato che 22mila persone sono state graziate per le proteste, il che “suggerisce che molte altre siano state arrestate o accusate”. Non esistono, a detta della Presidente, dati ufficiali sulla natura delle accuse contro di loro, o su coloro che sono stati condannati, detenuti o accusati.
#Iran: “Harsh punishments continue to be meted out to those involved in the protests, including for exercising rights protected under intl’ human rights law.”
Sara Hossain, Chair of the Fact-Finding Mission on the Islamic Republic of Iran at the @UN Human Rights Council.#HRC53 pic.twitter.com/nI0jZm3JpV
— United Nations Human Rights Council (@UN_HRC) July 5, 2023
Hossain ha detto inoltre che i manifestanti graziati sarebbero stati costretti a esprimere rimorso e a firmare impegni scritti per non commettere “reati simili” in futuro. “Continuano a essere inflitte dure punizioni a coloro che sono coinvolti nelle proteste” ha affermato. Nel suo intervento ha poi ricordato l’esecuzione di sette uomini avvenuta “a seguito di procedimenti frettolosi, viziati da gravi accuse di violazioni del giusto processo, comprese confessioni estorte sotto tortura”.
Kazem Gharib Abadi, segretario generale dell’Alto consiglio iraniano per i diritti umani, ha risposto alle accuse in sede di Consiglio affermando che i paesi occidentali hanno fomentato le proteste e che “i terroristi sono entrati in scena”. Abadi ha anche ricordato che 75 agenti sono morti nelle proteste e che 7mila sono stati invece i feriti. Il segretario ha poi definito la protesta “politicamente motivata e inaccettabile”. Gharib Abadi ha anche fatto riferimento ai recenti disordini in Francia. Secondo lui si è infatti “assistito all’uso eccessivo della forza contro manifestanti pacifici, arresti arbitrari diffusi e restrizioni su Internet e sui social media”. “Sarebbe prudente – ha affermato – che il Consiglio per i diritti umani convochi una sessione speciale per esaminare la situazione in Francia”.
Kazem Gharib Abadi, Secretary General of the High Council for Human Rights of the Islamic Republic of Iran, addressed the @UN Human Rights Council during the interactive dialogue with the Independent International Fact-Finding Mission on #Iran.#HRC53 pic.twitter.com/rzrAQs44ga
— United Nations Human Rights Council (@UN_HRC) July 5, 2023
*Protestors take part during a demonstration in front of the Iranian embassy in Brussels, Belgium on Sept. 23, 2022, following the death of Mahsa Amini. Foto di Alexandros Michailidis for Shutterstock