Nonostante ci sia un articolo della Costituzione del Kenya dedicato ai diritti dei bambini ed esistano una serie di leggi a favore della scuola gratuita, il diritto all’istruzione non è garantito a tutti ed è l’ennesimo esempio di una violazione dei diritti umani ancora oggi presente. Un breve viaggio all’interno delle ombre e delle ingiustizie del sistema scolastico del Paese.
Il sistema scolastico in Kenya è differente da quello italiano: l’anno scolastico inizia a gennaio e finisce ad ottobre con tre “term” (trimestri) separati da pause scolastiche. La scuola inizia molto presto al mattino e dura fino al pomeriggio, è in inglese e oltre alle principali materie scolastiche come matematica, inglese, kiswahili, scienze, si studiano molte materie pratiche come agricoltura e arte. Le scuole superiori si dividono in due tipologie: le Day Schools in cui lo studente torna a casa alla fine della giornata scolastica e le Boarding Schools in cui lo studente vive nella residenza della scuola e ciò comporta che debba comprare anche tutto il necessario per vivere come il materasso, le lenzuola, piatti e bicchieri, il materiale per l’igiene personale, etc.
Il rendimento scolastico delle Boarding Schools è considerato migliore delle Daily, ma l’accesso alle prime dipende dal risultato ottenuto dall’esame nazionale svolto alla fine della scuola secondaria di primo grado. Nel momento in cui vengono pubblicati i risultati dell’esame nazionale, lo studente può fare richiesta ad una Boarding School o essere contattato direttamente da questa in base al punteggio ottenuto e più è alto il punteggio più è alta la possibilità di accedere ad una scuola migliore.
Nonostante all’interno della Costituzione keniana ci sia un articolo dedicato al diritto del bambino di avere accesso ad un’educazione gratuita (art. 53 1b1), anche le scuole pubbliche sono a pagamento e oltre alle tasse scolastiche occorre comprare le uniformi e il materiale. In media, la scuola pubblica costa $46 per studente all’anno e comunemente questi soldi vengono chiamati “hidden costs” perché non sono delle tasse ufficiali da parte del governo ma spese richieste dalla scuola per il materiale scolastico, l’uniforme e alcune attività2. Per questo motivo solo il 63% dei ragazzi e il 68% delle ragazze finisce la scuola primaria e solo il 53% inizia la scuola secondaria di secondo grado. Inoltre, nelle zone povere e sovrappopolate di Nairobi, come Kibera slum, in ogni classe in media ci sono più di 90 studenti con un solo insegnante3.
Un’altra violazione legislativa e dei diritti dei bambini riguarda la legge “Children’s act”4 introdotta nel 2001 che vieta l’utilizzo di punizioni corporali a scuola. Anche questa non viene rispettata e i bambini vengono puniti corporalmente sia se si comportano male sia se non ottengono buoni risultati durante gli esami. Questo avviene perché in Kenya è socialmente accettato a livello culturale-educativo5.
Le famiglie povere, di solito, sono composte da mamme sole con tanti figli che lavorano occasionalmente e la loro disponibilità economica copre a stento le spese del cibo e dell’affitto. Queste mamme non hanno uno stipendio fisso in quanto la maggior parte di loro lavora a giornata (in Kiswahili, Kibaura) come lavare vestiti, accudire bambini, pulire case o vendere piccoli articoli per strada. Per questo motivo non riescono a comprare il materiale scolastico e a pagare le tasse scolastiche e ogni anno per l’inizio della scuola cercano degli sponsor tramite enti o associazioni per finanziare l’educazione dei figli. Il governo non ha delle istituzioni concrete che garantiscano il diritto all’istruzione e, laddove sono previsti degli aiuti, le famiglie povere non hanno gli strumenti per venirne a conoscenza e accederne. A differenza dell’Italia, che garantisce il diritto allo studio anche alle famiglie con difficoltà economiche grazie alla scuola dell’obbligo gratuita e alle agevolazioni in base all’ISEE, un bambino proveniente da una famiglia povera in Kenya senza uno sponsor privato non è in grado di andare a scuola.
A cura di Francesca Lacognata, Lorenzo Reggiani e Valeria Albonetti, Caschi Bianchi in Servizio Civile con la Comunità Papa Giovanni XXIII a Nairobi.
Questo articolo è parte di una collaborazione didattico-giornalistica tra Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo e l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Gli autori sono giovani tra i 18 e i 28 anni che stanno svolgendo servizio civile all’estero. Per informazioni sul servizio civile con APG XXII clicca qui
1 https://www.klrc.go.ke/index.php/constitution-of-kenya/113-chapter-four-the-bill-of-rights/part-3-specific-application-of-rights/219-53-children