Persistono forti dubbi sul cessate il fuoco in Libia. Il portavoce del sedicente Esercito nazionale libico (Lna), guidato da Khalifa Haftar, Ahmed al Mismari, ha infatti respinto al mittente l’iniziativa annunciata dal presidente del Governo di accordo nazionale, Fayez al Sarraj, definendola “solo marketing mediatico” per gettare “fumo negli occhi”.
Il 21 agosto il Gna aveva annunciato un cessate il fuoco immediato in tutto il Paese, chiedendo elezioni presidenziali e parlamentari per il prossimo marzo. Nell’ipotesi si chiedeva anche la smilitarizzazione di Sirte, la città bastione di Haftar di Bengasi, conosciuta come la porta d’accesso ai principali terminal petroliferi della Libia e accordi di sicurezza sulla mezzaluna petrolifera Orientale, dove gran parte dei terminali e dei porti petroliferi libici sono controllati da Haftar. Resta positivo l’inviato delle Nazioni Unite che guida gli sforzi di pace, secondo cui il cessate il fuoco annunciato potrebbe finalmente sbloccare i colloqui bloccati per porre fine a una guerra civile che aveva chiuso i giacimenti petroliferi e attirato forze armate straniere.
Se il possibile accordo è stato salutato con favore anche da Turchia, Unione Europea ed Egitto, la popolazione è allo stremo ed è scesa in piazza per denunciare la corruzione, il deterioramento dei servizi pubblici, la drammatica situazione sanitaria e le costanti interruzioni di corrente. Dozzine di persone si sono radunate a Misurata e a Tripoli il 23 e 24 agosto. Sami Hamdi, direttore dell’International Interest intervistato da Al Jazeera, ha detto che le proteste sono un esempio di “una popolazione libica sempre più arrabbiata” le cui frustrazioni per il peggioramento delle condizioni di vita trascendono la tradizionale divisione del Paese tra Est e Ovest. “[È] una dinamica che è al di fuori del controllo delle potenze internazionali”, ha detto.
Lunedì 24 agosto, la Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) ha chiesto “un’indagine immediata e approfondita sull’uso eccessivo della forza” da parte del personale di sicurezza pro-GNA a Tripoli durante la protesta di domenica.
Nell’accordo si punterebbe anche e soprattutto alla ripresa della produzione di petrolio che è scesa precipitosamente. La Libia detiene una delle maggiori riserve di greggio del Continente africano, ma la sua produzione e le sue esportazioni sono diminuite con la guerra e il blocco dei porti petroliferi da parte dei sostenitori di Haftar. Il paese ha pompato solo 100mila barili al giorno a luglio, secondo i dati riportati da Bloomberg, una frazione degli 1,6milioni prodotti prima della rivolta del 2011. Secondo la National Oil Corp, che ha sede a Tripoli, il blocco degli impianti petroliferi da gennaio ha privato la Libia di oltre 8miliardi di dollari di entrate, andando ad alimentare la crisi socio-economica che la popolazione si ritrova ad affrontare.
Resta poi da sciogliere il nodo Turchia che secondo il portavoce della fazione di Haftar, Ahmed al Mismari, si sta preparando ad attaccare Sirte e Jufra con le sue navi e fregate per avanzare poi verso la zona della Mezzaluna petrolifera, a Brega e Ras Lanuf. Ad agosto la Turchia ha concluso un altro accordo con il Gna: la città di Misurata ospiterà una base navale degli uomini di Erdogan e ci saranno reparti aerei turchi ad al-Watiya, verso il confine tunisino. Dopo quello di febbraio 2020 sulle zone di sfruttamento del mare questo è il secondo accordo strategico tra Tripoli e Ankara. A seguito di questo l’ospedale militare italiano, che da alcuni anni opera a Misurata, è diventato scomodo e verrà spostato in un’area definita dal ministro della Difesa italiano Lorenzo Guerini ‘più funzionale’.