di Teresa Di Mauro
Sono ancora incerte e insufficienti le notizie che riguardano Patrik Zaky, lo studente egiziano iscritto al Master GEMMA in studi di genere all’università di Bologna, arrestato all’aeroporto del Cairo il 7 febbraio con varie accuse tra cui quelle di “propaganda per gruppi terroristici e tentativo di rovesciare il regime”. Patrick rimane in custodia cautelare e le numerose udienze fissate per discutere il suo caso (l’ultima notizia è la conferma della custodia cautelare per altri 15 giorni) vengono continuamente rimandate, nonostante le sessioni siano ricominciate il 19 maggio. L’ultima volta che è apparso davanti all’accusa è stato il 7 marzo. Dal 9 marzo, giorno dell’ultima visita al carcere, la sua famiglia non ha più avuto notizie.
Luoghi di morte
Le carceri egiziane sono luoghi di morte. Lo ha ricordato recentemente il caso di Sarah Hijazi, la trentenne egiziana accusata per aver sventolato una bandiera arcobaleno, simbolo LGBT+, ad un concerto al Cairo. Dopo il suo rilascio, avvenuto grazie alle pressioni internazionali, Sarah si era rifugiata in Canada, ma i traumi provocati durante il periodo di detenzione erano così profondi da spingerla a togliersi la vita. Anche la morte del fotografo e regista 24enne Shady Habash ad inizio Maggio, ci aveva ricordato cosa significasse essere detenuto in Egitto. Incarcerato da due anni, ancora in attesa di giudizio, Shady era stato arrestato per aver realizzato un video in cui criticava apertamente il presidente Al Sisi. E’ morto nel carcere di massima sicurezza di Tora, a sud del Cairo, lo stesso in cui tutt’ora si trova Patrick Zaky,
La commessa del secolo
Le reazioni istituzionali sul suo caso di Patrik sono state finora scoordinate e nella maggior parte dei casi deludenti. Fatta eccezione per l‘Emilia- Romagna, che a causa della mancanza di verità sul caso Regeni e l’attuale detenzione di Patrick ha interrotto l’accordo che intratteneva con l’Egitto in campo educativo e formativo, non vi sono state ancora azioni concrete di rilievo. Al contrario, anziché intensificare la pressione sull’Egitto, il governo italiano ha recentemente dato il via libera a quella che è stata già definita la “commessa del secolo”, l’accordo militare tra Italia-Egitto dal valore di 9-11 miliardi di euro che prevede la vendita di due fregate multiruolo Fremm costruite per la marina militare italiana ed ora destinate all’Egitto (la Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi, del valore di 1,2 miliardi di euro), di altre quattro fregate, 20 pattugliatori, 24 caccia multiruolo Eurofighter e altrettanti aerei addestratori M346. Una commessa che ha indignato i genitori Regeni e che, secondo il portavoce di Amnesty International, Riccardo Noury: “Servirà ulteriormente a reprimere i diritti umani. Uno spregio per la verità per Giulio Regeni e per la scarcerazione di Patrick Zaky”. In Italia un vasto movimento di opinione – Amnesty, Rete Disarmo, Rete della Pace e altri – chiede la rimozione della commessa con l’hastag #StopArmEgitto
Per il momento, a parte le iniziative di singoli parlamentari, l’Unione Europea non ha elaborato una risposta unitaria sul caso. A questo proposito le opinioni degli esperti si dividono: la ricercatrice Kelly Petillo ad esempio, in un articolo per “European Council on Foreign Relations” sottolinea come il potere dell’UE sull’Egitto non sia da sottovalutare, sostenendo come in passato, in casi di questo genere, le autorità egiziane si siano dimostrate vulnerabili al controllo internazionale in materia di diritti umani. Dall’altro lato, come evidenzia un’analisi del “Bradipo federalista” , c’è chi come il portavoce di Amnesty International R.Noury nutre poche speranze in una risposta più solida e compatta dall’UE, date le numerose esperienze negative pregresse; ma crede fortemente nelle capacità delle società civili di fare la differenza in casi come questo e spera, che grazie alle iniziative e all’impegno quotidiano di cittadini ed organizzazioni europee ed egiziane, possa emergere il potere negoziale dell’Unione Europea.