di Alice Pistolesi
Esperienze concrete di Pace, si possono trovare in qualsiasi contesto, anche durante le peggiori situazioni di guerra. Dal 2015 l’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo ha iniziato a concentrarsi su questi ‘Tentativi di Pace’, associandoli a ciascuna scheda conflitto che compone il volume. A individuare, analizzare e raccontarli è Giovanni Scotto, docente dell’Università di Firenze, presidente del corso di laurea Sviluppo economico, cooperazione internazionale, socio-sanitaria e gestione dei conflitti (Seci) con il suo gruppo di lavoro di studenti e ricercatori.
Qual è il senso che l’Università e la tua equipe danno ai tentativi di Pace?
Da docente ed educatore la prospettiva di collaborare con l’Atlante è stata l’idea di avvicinare fin da subito gli studenti all’azione pratica. Non solo quindi studiare la politica internazionale ma cercare la concretezza: prendiamo un Paese dove c’è la guerra e guardiamo da vicino quali sono le forze che possono essere mobilitate per la pace.
In Italia scontiamo grossi ritardi. Se altrove già da 20, 30 anni si ragiona di politica estera come promotrice di Pace, noi non lo abbiamo mai fatto. Non abbiamo un’infrastruttura di ricerca, di partiti che conoscono e applicano strategie di pace. Abbiamo solo alcuni pezzettini di società civile, di università, di organizzazioni che svolgono ognuna una parte ma che non sono collegate. Questo non basta, andrebbe messo tutto a sistema.
Da anni lavoriamo ai ‘tentativi di pace’. Studiando le varie situazioni di conflitto quali evoluzioni o involuzioni avete notato?
Esiste, a tanti livelli, una sorta di biforcazione. Da una parte attori della società civile, politica ed economica che stanno provando a costruire moduli di convivenza più che pacifici e dall’altra autocrazie ed autoritarismi emergenti. La cosa più preoccupante, a mio avviso, rispetto al passato è il depotenziamento delle organizzazioni internazionali con un Onu sempre più debole, una Nato messa a dura prova dal caso turco, tanto per citarne uno, alla stessa Unione Europea. Tra le frizioni tra Russia ed Europa, ad esempio, c’è la questione Ucraina e un nuovo protagonismo della Federazione, mentre a livello economico si tenta e in qualche caso si riesce a trovare uno spazio comune.
Un bell’esempio di attivismo della società civile ci arriva dal mondo arabo, dalla diaspora siriana che ha tentato e tenta di organizzarsi, all’Iraq dove convivono tensioni profondissime ma anche una nuova generazione di giovani che mette in discussione le dinamiche settarie del Paese. I giovani stanno provando a ripensare il modello stesso di divisione tra sciiti, sunniti e curdi che è da decenni alla base del sistema iracheno.
Nel caos troveremo sempre degli elementi profondi di speranza. Ad esempio in Messico, un Paese devastato, con 100mila morti in 10 anni, ma che d’altro canto ha dato vita a gruppi di società civile maturi e capaci di interrogarsi e muovere la politica verso processi molto innovativi. Gruppi che provano a lavorare in mezzo alla violenza per arginarla e per rispondere con modi nuovi, lavorando sui diritti umani. Le Università in Messico stanno acquisendo il ruolo di facilitatori tre le vittime e le istituzioni, tra quei pezzi di Stato che funzionano e che vogliano collaborare per migliorarlo. Stiamo attraversando un momento di profonda incertezza. Tante situazioni che conoscevamo vengono meno e dobbiamo rispondere con metodologie nuove.
E’ sempre facile trovare ‘Tentativi di Pace’ o ci sono difficoltà?
Non è sempre semplice, soprattutto nei casi in cui ci sono dittature, regimi autoritari o guerre civili senza controllo. Per esempio in Siria abbiamo lavorato su piccole iniziative, in Cina sul caso degli Uiguri. Non è facile ma il principio che seguiamo è che in ogni guerra puoi trovare realtà, persone, gruppi, che sono in grado di lavorare per la pace.
Ci sono anche altri aspetti. Succede spesso che individuiamo iniziative valide, che iniziamo a valorizzarle e poi la situazione precipita. Un esempio è stato nel 1992, quando a Sarajevo erano attivi gruppi che lavoravano per la pace. Era una bella esperienza che però venne presto spazzata via dalla guerra. La violenza ha sempre la caratteristica di travolgere tutto ma poi c’è una serie di cose che fanno ripartire e ricominciare.
Secondo lo studioso Steven Pinker il genere umano non è mai stato così pacifico come oggi se facciamo il rapporto dei morti per persone viventi. Le vittime delle guerre sono sempre troppe, ma vedendola come Pinker, sono pur sempre frazioni minime sul totale. In mezzo a migliaia di persone noi non dobbiamo sempre temere per la nostra pelle. Se convalidiamo questa idea anche nelle situazioni più estreme vedremo che negli interstizi della violenza nascono cose preziose.
Come le esperienze concrete possono contribuire alla pace?
In tutte le lingue che conosco la pace è al singolare, ma stiamo cominciando a pensarle al plurale, le paci. Esiste ad esempio una Pace democratica basata sulla solidarietà e quella basata sul vantaggio reciproco causato da uno stato autoritario. Il nostro ideale è la pace di armonia e solidarietà.
Diciamo che oggi è più fruttuoso pensare alla Pace in spazi e momenti, non al modello di ‘pace perpetua’ di Kant. Costruire quello spazio e quel momento ha significato. Uno spazio e un momento che sono riusciti a costruire in Costa Rica, Paese che ha rinunciato all’esercito nel 1947, che ha ad oggi un livello di violenza estremamente inferiore rispetto ai vicini, che non ha avuto autoritarismo, colpi di stato, radicalizzazione politica. Quell’esempio è la prova che è possibile, che un altro mondo è possibile. Il nostro lavoro in questo momento è quello di porre attenzione, di fare emergere esperienze positive che nel chiasso della guerra non sentiresti.
Un altro esempio ci porta nell’Africa Subsahariana dove esiste la cuginanza per scelta. Le persone possono infatti decidere di avere un rapporto emotivo più stretto dell’amicizia o del legame coniugale con altri, etnie comprese. Se faccio spazio a queste esperienze, se riesco a diffonderle posso capire che anche in aree con sacche di popolazione profondamente radicalizzate ci sono elementi di cultura di pace. Una esperienza di pace, ma anche di attivismo, può sempre diventare virale. Basta pensare al caso di Greta Thunberg e del Friday for Future. Il suo esempio ci ha insegnato che se una quindicenne è riuscita a muovere mezzo mondo dobbiamo poter alzare l’asticella delle nostre aspettative di pace.