di Angelo Maddalena*
A partire da questo lunedì, per un mese, pubblichiamo un reportage in tre puntate dalla Siria: il primo riguarda il viaggio dell’autore, il secondo cos’era e cos’è oggi l’Esercito Libero Siriano. Il terzo infine, racconta della comunità monastica cattolico-siriaca di san Mosè l’Abissino rifondata negli anni Ottanta da padre Paolo Dall’Oglio (rapito il 29 luglio 2013 a Raqqa e di cui da allora non si hanno più notizie), filo conduttore di questa serie di articoli.
PARTE 1 (Introduzione, l’arrivo in Siria)
“Tornerai a Mar Musa”, mi dice Nouhad, che vive qui al monastero di Deir Mar Musa Al Bahashi, cioè San Mosè l’Abissino. Da questa terrazza del complesso monastico immerso nel deserto siriano, guardo il cielo e con l’aiuto di Paolo, un compagno di strada in questa escursione in Siria, vedo la costellazione dello scorpione. Paolo insegna fisica e matematica. Alla domanda “che lavoro fai?”, che gli avevo fatto a Damasco, nella stanza dove dormivamo, mi ha risposto, scherzando “insegno educazione fisica”. Meno di un anno fa avevo comprato il libro di Francesca Peliti su padre Paolo Dall’Oglio (rapito il 29 luglio 2013 a Raqqa e di cui da allora non si hanno più notizie) e la comunità di Deir Mar Musa. Avevo così deciso di andarci.
Della scomparsa di abuna Paolo Dall’Oglio ero venuto a conoscenza nel 2013 (è stato rapito nel luglio di quell’anno ndr). Avevo acquistato quel libro perché non immaginavo che dopo il suo rapimento la comunità da lui fondata trent’anni prima, ristrutturando questo monastero abbandonato del IV secolo d. C., continuasse a vivere nonostante la sua assenza. Ma, soprattutto, che fosse sopravvissuta alle incursioni dell’ISIS e al rapimento di uno dei fondatori, padre Jacques, sequestrato per cinque mesi nel 2015. Grazie al saggio della Peliti avevo scoperto che ci sono monaci e monache che ci vivono ancora, cattolici e ortodossi, con una grande apertura all’Islam. Tra l’altro uno dei libri di Dall’Oglio si intitola Innamorato dell’Islam, credente in Gesù. Alcuni giorni prima di partire, vengo inoltre a sapere che tutta la comunità di Mar Musa sarà in Italia per celebrare la messa del decennale della scomparsa di padre Paolo. Mi avevano detto che venire in Siria e a Mar Musa da solo in questo periodo non era facile, quindi mi sono messo d’accordo con un siriano che mi ha spiegato, fra un’escursione e un’altra, la storia e l’attualità del suo Paese. “In Siria non c’è futuro fino a quando ci sarà l’embargo”, ha affermato in uno di questi suoi discorsi illustrativi delle condizioni economiche e politiche degli ultimi anni. A Bosra, prima città siriana dopo aver attraversato il confine con la Giordania, siamo passati nel tardo pomeriggio del 30 luglio arrivando da Amman (dove siamo atterrati e poi da lì abbiamo proseguito in autobus). Prima di ripartire per Damasco abbiamo visitato il teatro romano del II secolo d. C, “che ha resistito alle bombe che Assad scaricava contro i ribelli dell’Esercito Libero Siriano asserragliati proprio qui vicino”, ci ha spiegato la fonte, aggiungendo che “per fortuna attorno al teatro c’è una Cittadella che lo ha protetto dalle esplosioni”.
Tra queste bombe – come tra gli altri ha raccontato Avvenire – forse ce ne erano anche di chimiche, vietate dalla convenzione di Ginevra del 1991. Il Presidente siriano Bashar al-Assad è stato accusato per questo tipo di crimini, come diremo più avanti. Una fonte locale mi ha raccontato di quando era riuscito a partire l’ultima volta dalla Siria (“ero praticamente scappato”), perché dopo le prime manifestazioni di protesta del 2011, il regime aveva risposto con una feroce repressione contro militanti e cittadini siriani che avevano preso parte alle dimostrazioni pacifiche di piazza: arresti, torture, uccisioni. Questo aveva fatto sì che molti militanti si organizzassero in brigate di combattenti armati. Mi spiega che nel giro di poco tempo fra i combattenti si erano infiltrati molti soggetti esterni provenienti dai paesi del Golfo, dalla Turchia e da altri Paesi: si parla di circa 90.000 combattenti arruolatisi nell’Esercito Libero Siriano, che entravano dalla Turchia o da Libano, ma provenienti anche dal Golfo Persico, tra cui il Qatar che finanzia il Free Army per colpire indirettamente il regime, mentre la Penisola Anatolica faceva da base logistica. Poi racconta un dettaglio di quel viaggio in autobus verso l’Europa, d’estate: “Al check point dei ribelli ci hanno controllato i documenti, ma i due uomini con il mitra avevano la barba lunga e non sembravano siriani. Quegli uomini armati hanno portato via otto alawiti e questo mi ha salvato, perché ho buttato sotto il sedile il portafogli dove c’erano i miei documenti in cui c’era scritto che collaboravo con l’Università. Siccome sono cristiano – aggiunge – probabilmente mi avrebbero portato via come hanno fatto con gli alawiti, considerati dai ribelli troppo vicini al regime, in quanto dal 1970 hanno assunto un potere rilevante in Siria grazie ad Hafiz al-Assad (il padre di Bashar), anche lui alawita”.
La nostra fonte ci fa poi una confidenza amara e molto poco evidente per noi occidentali e per i non siriani: “Uno degli effetti collaterali più tragici della guerra è la perdita delle minoranze religiose presenti in Siria da tempo immemore”. Ad Aleppo abbiamo per esempio alloggiato nella sede del vescovado della Chiesa cattolico-greco melchita. La mattina dopo il nostro arrivo abbiamo visitato nel giro di poche decine di metri la cattedrale armena intitolata ai quaranta martiri e una chiesa maronita (non lontano da lì ce n’era anche una evangelista). Dalla mia finestra al terzo piano, al crepuscolo, mi è capitato di ascoltare la litania delle preghiere provenienti dalla moschea in filodiffusione, mentre nella chiesa sotto la mia finestra si celebrava la messa con il rito greco-melchita in cui le litanie cantate sono così presenti da sembrare un lunga messa cantata. Fino al 2012 i cristiani erano il 10% della popolazione siriana: oggi sono il 2%. Già un padre gesuita, che ci ha ospitato ad Amman, ci aveva illustrato un quadro geopolitico del Medio Oriente, dicendoci che nel confinante Iraq, prima dell’invasione della coalizione a guida anglo-statunitense del 2003, i cristiani erano un milione e duecentocinquantamila: oggi sono meno di 250.000.
Ci spiega anche, in modo oggettivo, visto che gli viene fatta una domanda pertinente, come l’intervento militare internazionale abbia distrutto il tessuto produttivo e sociale dell’Iraq: “Saddam Hussein aveva mantenuto l’ordine, anche se con metodi brutali, tra l’altro aveva cacciato a un certo punto i gesuiti, non uccisi ma cacciati, eppure dopo l’intervento anglo-americano, che doveva facilitare il passaggio alla democrazia, è andato tutto in fumo. Molti stipendiati statali del regime di Saddam, anche se pagati per lavorare poco, hanno perso l’impiego, così come lo hanno perso molti militari, così come è crollata l’industria del petrolio”. In questo contesto si erano rinforzati quei gruppi di estremisti islamici, che poi hanno dato vita al famigerato ISIS (Stato islamico dell’Iraq e del Levante). Il Padre ci dice anche che 65.000 iracheni sono sfollati in Giordania, che molti di loro non vogliono tornare in Iraq perché non vedono futuro lì, non avendo più tante possibilità di emigrare altrove, in quanto l’ex Presidente statunitense Donald Trump ha approvato una legge che restringe ulteriormente gli accessi da Paesi considerati “nemici” (i cosiddetti Stati canaglia), tra cui anche l’Iraq e la Siria. Perciò, sostiene il gesuita, anche noi dopo questo viaggio, se dovessimo andare negli USA avremo problemi burocratici quando dal nostro passaporto si vedrà che abbiamo soggiornato in Siria.
A tal proposito ci ricorda che 600.000 siriani sono rifugiati attualmente in Giordania e due milioni si trovano nei campi profughi del Libano. Nel Nord dell’Iraq ci sono ancora molte mine antiuomo seppellite e pronte ad esplodere, mentre i turchi fanno stragi nel Kurdistan iracheno. Di tutto ciò “non si parla tanto”, denuncia il Padre. Recentemente ettari di boschi sono stati bruciati da bombe incendiarie dell’esercito turco, che continua a bombardare anche verso l’Iran o a Suylemanya (città del Kurdistan iracheno), dove tra l’altro si trova una piccola comunità affiliata al monastero di Mar Musa. Ci tiene a ricordarci che nel nostro immaginario il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e i palestinesi sono spesso associati ai terroristi. Eppure nelle montagne del Sinjar, la terra degli Yazidi, il PKK ha combattuto strenuamente contro l’ISIS, mentre anche i Peshmerga scappavano. Ci chiediamo quando potremo visitare l’Iraq e il Padre dice che per gli europei adesso è più facile, perché dal 2021 possono entrare senza visto. Il discorso dei curdi perseguitati dall’esercito turco lo ha ripreso anche una nostra fonte nel ricostruirci, come spesso ha fatto, la Storia recente della Siria. Ricordando che la Turchia negli ultimi venti anni ha ostacolato o comunque ha contribuito al crollo del sistema economico siriano: “Tra il 2008 e il 2011 il nostro Paese stava crescendo”, ci ha spiegato. “C’era un reddito medio di 1.000 euro al mese, molto alto per un Paese mediorientale. Era un mercato concorrenziale anche per la Turchia. Era un modello unico, ricco, con un’istruzione alta”.
Ad Aleppo, lungo la strada per Manara, andiamo a visitare un centro culturale bombardato che stanno ricostruendo. Un signore che incontriamo dice ad alcuni di noi con un’espressione di rabbia nel volto: “Assad è buono, Erdogan è un cane” (il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, ndr). Dal 2011, tra l’altro, come ci ricorda la fonte, il Presidente turco faceva passare i jhiadisti per entrare in Siria a supportare l’esercito dei ribelli. “Oggi la Siria è un Paese sgretolato e lo Stato Islamico si è rinforzato anche grazie all’embargo, contribuendo a mandare la Siria nell’abisso, perché ha distrutto le minoranze religiose che la arricchivano. E ha rinforzato anche il regime”. In questo contesto ha operato Paolo Dall’Oglio, in una ricerca di dialogo con i musulmani, sfida già di per sé difficile ma ancora più ardua a partire dal 2012, anno in cui viene espulso dal regime di Assad per la sua vicinanza alle mobilitazioni pacifiche del popolo siriano del 2011. In seguito ha poi sostenuto anche l’esercito di liberazione siriano, come spiega bene il documento Paolo Dall’Oglio l’autodifesa e la nonviolenza di Riccardo Cristiano, autore del libro Una mano sola non applaude, che consiglio di leggere e rileggere. “Posso dire – si legge ad esempio in quel testo – che è attualissima, e da studiare, la sua visione di dialogo islamico-cristiano, posto che padre Paolo è stato, certamente, precursore di fatto del Documento sulla fraternità umana firmato, insieme, da Francesco e dall’imam dell’Università islamica di al-Azhar, Ahmad al Tayyib, nel 2019 ad Abu Dhabi”.
Continua…
Nella foto in copertina, bambini giocano ad Aleppo (di Angelo Maddalena)
* Angelo Maddalena è narratore di conflitti e lotte popolari dal basso, dalla Val di Susa all’Algeria a Buenos Aires. I suoi reportage spesso diventano monologhi teatrali con canzoni (“Cugini di Algeria fratelli di Kabylia”; “Alla Maddalena, la favola del 3 luglio in Val di Susa”). Nel 2018 ha pubblicato il libro inchiesta dal titolo “Un anno di frontiera”, sull’accoglienza incompleta dei migranti a Ventimiglia; collabora con “Mosaico di pace”, a giugno del 2023 è uscito un suo reportage sul quindicinale “Rocca”. Dal 2013 al 2022 ha collaborato regolarmente con “la Bottega del Barbieri”, blog di giornalismo sociale e di inchiesta, per il quale ha curato la rubrica “L’Angelo del lunedì”. Il suo ultimo libro è “Taccuino di viaggio interiore”, con il cd di canzoni “Tutti positivi”. A settembre del 2023 uscirà il docu-corto “Mi sembra di viaggiare con te. Vita da Angelo, un artista e la sua ricerca di senso”, di Gabriele Perni.