Burkina Faso: oltre lo scontro religioso

Da tempo il Paese, come vaste aree del Sahel, è interessato da attacchi terroristici. Alcune ragioni della radicalizzazione, a partire dalla povertà estrema

Da tempo il Burkina Faso è interessato da un’ondata di violenza, che ha coinvolto la comunità cristiana del Paese e non solo. Uno degli ultimi casi è avvenuto il 13 maggio nel villaggio di Singa, comune di Zimtenga, Nel nord del Paese. Secondo quanto riportato dall’agenzia Fides, i fedeli cattolici avevano partecipato ad una processione dal loro villaggio a quello di Kayon, e stavano riportando la statua in chiesa quando sono stati raggiunti da uomini armati che hanno ucciso quattro persone. L’area dell’ultimo attacco è la stessa in cui domenica scorsa sono stati massacrati un parroco e cinque fedeli durante la Messa, è stato saccheggiato il villaggio, incendiata la chiesa, l’ambulatorio e alcuni negozi. Un altro attacco simile è avvenuto il 28 aprile, sempre di domenica durante le celebrazioni per la Via Crucis, a Djibo. In quel caso era stato assassinato un pastore protestante insieme a cinque fedeli.

Ma da dove arrivano questi attacchi? Da anni sono attivi nell’area del Sahel gruppi jihadisti che hanno la loro base principale nel confinante Mali ma che da tempo hanno superato le frontiere e agiscono anche nel Nord e nell’Est del Burkina. Negli ultimi anni, si contano decine di attacchi a comunità cristiane ma anche di violenza generalizzata con rapimenti, attacchi con esplosivo, uccisioni mirate e assalti contro stazioni della polizia e posti di blocco. Nel 2018, il missionario italiano Pier Luigi Maccalli era stato rapito da gruppi jihadisti e di lui non si è più avuto notizia.

Tutta l’area del Sahel è interessata da questa violenza. In Niger, ad esempio, il 14 maggio è stata attaccata la parrocchia di Dolbel. Se infatti inizialmente gli attacchi toccavano soprattutto la regione settentrionale del Sahel, ora la minaccia pare essersi spostata verso le foreste ai confini con il Niger. In effetti nell’area le formazioni terroristiche si sono unificate nel 2017 in un’unica organizzazione denominata Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin, che opera in Burkina Faso insieme a gruppi come Ansaroul Islam e l’Isis del grande Sahara. Solo nell’anno della fusione gli attacchi in Burkina Faso sono stati più di cinquanta e si sono concentrati nel nord del Paese, al confine con il Mali.

Per far fronte a questa minaccia il Burkina Faso, ha infatti aderito alla coalizione internazionale G5 Sahel composta da Ciad, Mali, Mauritania e Niger, in coordinamento con la missione Onu Minusma, attiva in Mali. Che il Paese sia sotto attacco è evidente. Il Burkina Faso è stato nominato anche nel video che, dopo cinque anni di assenza, ha mostrato nuovamente il capo del sedicente Stato Islamico, Abu Bakr al-Baghdadi. Come un copione che si ripete inesorabilmente, se si scava a fondo di quelli che sembrano solo scontri religiosi, si scovano varie e concrete motivazioni.
Il Burkina Faso è uno dei Paesi più poveri dell’Africa Occidentale.

Come in altri casi africani, infatti, l’ingente ricchezza mineraria non ricade sulla popolazione che deve fare i conti con povertà, fame, infrastrutture stradali insufficienti e poco sviluppate che rendono praticamente inaccessibili vaste aree del Paese, pochissimi centri sanitari e scuole, mancanza di acqua ed elettricità. Secondo gli osservatori, quindi, la situazione di povertà e la scarsa presenza dello Stato, possono dare delle risposte alla radicalizzazione, anche di matrice islamica. L’ong International Crisis Group, in una relazione sul Burkina Faso, sostiene che: “La percezione di uno Stato lontano, incapace di fornire servizi, spiega anche l’ascesa del movimento Ansaroul Islam di Malam Dicko. La popolazione ha la sensazione che la regione del Sahel sia abbandonata dallo Stato e che il suo potenziale economico non venga valorizzato”.

Secondo l’organizzazione a creare frustrazione è l’esistenza di ricchezze agricole, pastorali e minerarie in contrasto con il sottosviluppo. Molti rilevano anche che i seguaci dei gruppi terroristici provengano da ambienti poveri, a partire da Malam Dicko, fondatore del gruppo terroristico Ansaroul Islam. Tre le ragioni si rileva l’assenza di azioni concrete di sviluppo a livello locale e la corruzione delle autorità amministrative e di sicurezza. Un altro fattore da tener presente è, come nei casi di Mali e Nigeria, di cui abbiamo precedentemente trattato, è la questione dei fulani. In Burkina Faso esiste infatti una forte frustrazione generata dai rapporti difficili tra i pastori nomadi della comunità Fulani, e i rappresentanti dello Stato, che hanno spesso represso la comunità, accusandola indistintamente di jihadismo.

(Red/Al.Pi.)

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