di Ilario Pedrini
La maggior parte di noi de Camerun non conosce nulla. Per gli appassionati di calcio il Paese africano richiama solo la maglietta verde vista in improbabili partite giocate sui campi italiani negli anni ‘90. Ma il Camerun, per l’economia sommersa, il Camerun è soprattutto il principale territorio di transito per il traffico dei diamanti provenienti della Repubblica Centrafricana. A dirlo è un rapporto dell’Organizzazione Partnership Africa Canada. «In base a tale relazione, il Camerun non rispetterebbe il “Kimberley Process” (KPCS), certificazione che dovrebbe garantire che i profitti provenienti dal commercio di diamanti non vengano usati per finanziare guerre civili. Tale accordo è stato sottoscritto da molti governi, tra loro anche il Camerun, e multinazionali dei diamanti, nonché dalla società civile». Ce lo spiega Cornelia I.Toelgyes su Africa Express. L’embargo a cui è stato sottoposto il Paese nel 2013 ora è a maglie un po’ più larghe. Si parla di tangenti, di mazzette distribuite a destra e a manca. A chi? Alle autorità preposte a controllare l’origine dei preziosi minerali. E chi sborsa e chi guadagna? I commercianti camerunesi o rifugiati centrafricani nel Camerun, che comprano questi diamanti nella Repubblica Centrafricana. «I criminali – non c’è altro termine per definirli – in seguito preparano dei certificati che attestano come Paese d’origine il Camerun, ottenendo così senza problemi l’attestato “Kimberley Process”, che altro non è il passaporto che permette ai preziosi l’accesso al mercato internazionale». Un giro di false bolle di accompagnamento e di certificazioni. Così l’acquirente finale può sempre dire di avere comperato i “diamanti puliti”, che possono avvolgere colli e dita di ricche (e meno ricche) donne occidentali. Commercianti e autorità camerunensi ovviamente respingono al mittente le accuse. «Già nell’agosto 2014 le autorità belghe avevavno sequestrato un carico di centoquarantamila carati di diamanti sospetti, del valore di ventiquattro milioni (…) Quest’anno è stato tolto parzialmente l’embargo in alcune zone, ma rimane il fatto che proliferano miniere non autorizzate, controllate dalle bande armate, fonti della maggior parte dei diamanti insanguinati». Questo traffico garantisce proventi milionari con pochi beneificari, sul continet nero come su quello europeo e americano. Nel Paese – ricorda Toelgyes, che parla anche del percorso che fa il legno pregiato dal sud al nord del mondo – oltre la metà della popolazione si trova in stato di insicurezza alimentare: 2,3 milioni necessitano di aiuti umanitari, su una popolazione totale di 4,616 milioni di persone». E la comunità internazionale? In novembre ha stanziato più di due miliardi di euro per la ricostruzione del Paese. Il fatto è che non ci sarà pace (e men che meno prosperità) finché l’acquisto, il trasporto e la vendita di diamanti sporchi di sangue permetteranno di «finanziare i gruppi armati ex-Séléka (composti per lo più da musulmani) e anti-balaka (vi aderiscono cristiani ed animisti)». E il Giornale ci parla del Centrafrica: «Là ha sede la Badica (Bureau d’achat de diamant en Centrafrique), società impegnata nell’acquisto di diamanti e che, dall’agosto del 2015, è sulla lista delle società sottoposte a sanzioni perché ha acquistato le pietre provenienti dalle miniere controllate dai ribelli della Seleka e poi ha importato quegli stessi diamanti in Europa attraverso la società parallela Kardiam, con sede in Belgio. Questa società però continua a ricevere 10mila dollari al mese dalle Nazioni Unite perché è la proprietaria del terreno su cui sorge la base della Minusca (la forza di pace presente nel Paese africano dal 2014), che quindi paga regolarmente l’affitto alla Badica, nonostante questa, da oltre un anno, sia stata appunto inserita nella black list».
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