dal nostro inviato Emanuele Giordana
Bangkok – Mentre il governo birmano dà il via alla costruzione di un muro nella terra di nessuno che separa il Paese dal Bangladesh, la magistratura dell’ex capitale dice no al ricorso dei due reporter della Reuters condannati a sette anni di carcere nel settembre scoso. Due notizie in parallelo che danno conto di un’ennesima svolta autoritaria nel Paese delle mille pagode.
La giustizia birmana ha infatti rigettato ieri a Yangon, l’ex capitale, il ricorso presentato in appello dai due giornalisti birmani dell’agenzia internazionale di stampa Reuters che sono stati condannati in primo grado per violazione del segreto di Stato. Il giudice ha sostenuto che la difesa di Wa Lone e Kyaw Soe Oo non è stata in grado di dimostrare la loro innocenza e che la punizione comminata in precedenza è “adeguata” al crimine commesso.
I due giovani reporter birmani avevano raccolto prove dirette sui crimini commessi dall’esercito nello Stato del Rakhine da cui, nell’agosto del 2017, i militari hanno costretto alla fuga oltre 700mila rohingya, la minoranza musulmana della regione che in gran parte è rifugiata in Bangladesh. Arrestati con una trappola dopo aver incontrato degli agenti che hanno messo nelle loro mani dei documenti, i due reporter avevano raccolto prove in particolare su una strage compiuta dall’esercito nel villaggio di Inn Din, nel Nord del Rakhine nel settembre 2017. I loro colleghi hanno poi pubblicato la ricostruzione dell’eccidio, l’unica strage ammessa sinora dai generali birmani. Dopo mesi di reticenza, l’inchiesta giornalistica ha spinto Tatmadaw a condannare sette soldati ai lavori forzati.
Stephen Adler, già direttore di Reuters News e presidente di Reuters Corporation, ha definito il rifiuto della corte “un’ennesima ingiustizia. Il giornalismo non è un crimine – ha aggiunto – e finché il Myanmar continuerà a commettere errori simili, la sua stampa non potrà considerarsi libera”. Sul dossier rohingya e le violazioni da parte dell’esercito birmano sta indagando anche la Corte penale internazionale.
Della costruzione del muro dà invece notizia oggi il quotidiano di Dacca Daily Star (da cui è tratta l’immagine qui a fianco). In quello che il Bangladesh definisce una flagrante violazione del diritto internazionale, il Myanmar sta costruendo una struttura nella terra di nessuno al confine tra i due Paesi, nella zona di Ghumdhum. La struttura – spiega il quotidiano – ostruirebbe il flusso delle acque nell’area e potrebbe causare inondazioni ma soprattutto metterebbe a rischio i circa 6.000 rohingya che vi si ritrovano a vivere – in pessime condizioni – dall’agosto del 2017. La struttura ha infatti tutta l’aria di essere una stazione di pattugliamento oltreché una barriera fisica.
Kamal Ahmed, commissario capo a Cox’s Bazar – dove si trovano i campi profughi con oltre 700.000 rohingya, ha inviato una lettera al governo martedì, esprimendo preoccupazione per i lavori di costruzione e le sue possibili conseguenze. La situazione rimane dunque molto tesa nello Stato del Rakhine dove si sono registrate nuove violenze (di cui vi abbiamo dato conto nei giorni scorsi) e tra Myanmar e Bangladesh su una delle frontiere più calde dell’Asia.
In copertina i due giornalisti birmani Wa Lone e Kyaw Soe Oo. Nel testo, la Nobel e premier de facto Aung San Suu Kyi