La giornata del voto in Guinea è stata accompagnata dagli scontri e dal sangue. Gli elettori del Paese africano erano chiamati, domenica 22 marzo, alle votazioni per il rinnovo del parlamento e per il referendum di modifica costituzionale, che consentirebbe al presidente in carica Alpha Condé di presentarsi per un terzo mandato, ora vietato dalla carta costituzionale. Il rinnovo dell’Assemblea Nazionale doveva tenersi a novembre 2019, già con quasi un anno di ritardo rispetto alla data prevista.
All’apertura dei seggi si segnalavano scontri in vari quartieri della capitale Conakry tra manifestanti e forze di sicurezza. Secondo quanto riportato da Africa Rivista i sostenitori dell’opposizione hanno attaccato alcune stazioni di polizia, bruciato seggi elettorali e distrutto l’attrezzatura per il voto. Gli agenti hanno reagito duramente sparando gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. L’opposizione ha denunciato che almeno 10 persone sono state uccise negli scontri. Il ministro della sicurezza e della protezione civile, Albert Damantag Camara, invece ha detto alla stampa lunedì 23 marzo che il bilancio ufficiale era di sei vittime.
Il clima elettorale era già infuocato. Secondo l’opposizione, infatti, sono almeno trenta le persone uccise nei mesi scorsi nel corso delle proteste contro il referendum. Decine sono stati anche gli arresti di attivisti nella capitale Conakry e in altre zone del Paese, mentre Africa Express denuncia la scomparsa di almeno 40 giovani attivisti dopo essere stati portati in un centro di detenzione delle forze armate. Prima del voto, poi, nella serata di venerdì 20 marzo c’è stato il completo blocco dei social media per “lavori sulla Rete”.
Il referendum di domenica, previsto per il 1°marzo, era stato rinviato a causa delle critiche di circa 2,5 milioni di nomi dubbi sulla lista elettorale del Paese. Circa 7,7 milioni di persone erano nel registro, su una popolazione totale di circa 13 milioni di persone. Il governo ha affermato di aver rimosso i nomi sospetti, ma secondo l’opposizione c’erano ancora dubbi sulla credibilità del voto. La preoccupazione degli osservatori è rivolta ora al post elezioni, ovvero quando verranno resi noti i risultati delle elezioni e soprattutto del referendum.
Le proteste contro il referendum risalgono al 14 ottobre, quando i partiti di opposizione e i leader della società civile della Guinea, riuniti nel Fronte nazionale per la difesa della Costituzione (Fndc), avevano convocato uno sciopero generale contro il progetto di riforma costituzionale. Il presidente della Guinea dovrebbe completare il secondo mandato quinquennale nel 2020. Nel maggio 2019 il ministro della Giustizia della Guinea, Cheick Sako, aveva rassegnato le dimissioni perché contrario a qualsiasi modifica della Costituzione.
*In copertina una manifestazione del 12 marzo 2020 (foto tratta dalla pagina Facebook del Front National Pour La Défense De La Constitution-FNDC)
di Red/Al.Pi.
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