Libia: nemmeno la pandemia ferma la guerra

Mentre le organizzazioni internazionali e africane tentano la via del cessate il fuoco, gli scontri sono ripresi con bombardamenti su Tripoli

Pesanti bombardamenti il 23 marzo da parte delle forze di  Khalifa Haftar hanno causato la morte di almeno cinque civili nella capitale libica, Tripoli. Colpi di mortaio lanciati dalle forze guidate dal generale Haftar hanno colpito la periferia Sud di Tripoli, uccidendo una donna di 42 anni e suo nipote, ha affermato Amin al-Hashemi, portavoce del ministero della salute del governo di Accordo nazionale (Gna). In un altro attacco vicino all’aeroporto Mitiga della capitale, due lavoratori migranti sono stati uccisi e un civile libico è stato ferito. Una donna di 20 anni è stata uccisa da pallottole vaganti nel quartiere Tajoura di Tripoli.

Sull’altro fronte, un portavoce di Haftar, le cui forze controllano vasta parte del Paese e assediano la capitale da quasi un anno, ha accusato gli avversari di Tripoli di aver lanciato missili contro la città di Tarhuna. Gli attacchi sono avvenuti pochi giorni dopo che le parti in guerra hanno espresso l’impegno per una pausa umanitaria nella lotta, in modo che le autorità possano concentrarsi sulla prevenzione della diffusione del nuovo coronavirus.

La Libia non ha confermato alcun caso del virus, ma i funzionari della sanità pubblica temono che la pandemia possa colpire ulteriormente il Paese dilaniato dalla guerra. Il conflitto ha devastato le infrastrutture e creato gravi carenze di forniture mediche. Yacoub El Hillo, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per la Libia, ha dichiarato domenica 22 marzo che “i tempi non potrebbero essere peggiori” per il rischio di contagio che incombe sulla Libia. Facendo eco alle chiamate di un certo numero di potenze mondiali, ha sollecitato una “completa cessazione delle ostilità”, in modo che le autorità sanitarie possano prepararsi al peggio.

Il Paese nordafricano si colloca al 168° posto di 195 Nazioni in tutto il mondo in tema di preparazione per una crisi sanitaria, secondo il Global Health Security Index, un progetto del Johns Hopkins Center. Intanto, tre capi di Stato africani, il capo dell’Unione Africana e un inviato delle Nazioni Unite si sono incontrati giovedì nella Repubblica democratica del Congo nell’ultimo tentativo di mediare colloqui sulla crisi in Libia. A Nguesso si sono riuniti il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa, il leader ciadiano Idriss Deby Itno, il capo della commissione AU Moussa Faki Mahamat e il primo ministro algerino Abdelaziz Djerad. E il presidente della Repubblica democratica del Congo, Denis Sassou Nguesso, ha sollecitato un “messaggio inequivocabile” per preparare una conferenza sulla riconciliazione nazionale in Libia. Il 19 marzo, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha parlato al telefono con il primo ministro libico Fayez al-Sarraj, invitandolo a muoversi rapidamente per giungere alla firma di un cessate il fuoco. 

Ma gli sforzi internazionali per porre fine al conflitto sono finora falliti e i vicini africani della Libia stanno cercando un ruolo più forte nella risoluzione della crisi libica. Il Governo algerino ha affermato che sarebbe pronto a ospitare un dialogo globale tra i partiti libici e si è unito alle altre nazioni africane nel sollecitare la fine delle interferenze straniere in Libia. “È tempo di unire il popolo libico e di promuovere la riconciliazione”, ha detto Djerad. Tutto ciò, dopo le dimissioni del rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Libia, Ghassane Salame, i cui sforzi per un accordo sono stati comunque elogiati dai leader africani.

Sul piano internazionale, una “tregua umanitaria” è stata richiesta in una dichiarazione congiunta degli ambasciatori di Algeria, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti, nonché della delegazione dell’Unione europea in Libia e dai governi della Tunisia e degli Emirati Arabi Uniti, che hanno invitato le parti in guerra a “dichiarare una cessazione immediata e umanitaria delle ostilità … per consentire alle autorità locali di rispondere alla sfida della salute pubblica senza precedenti posta da Covid-19”. La Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia ha aderito alla richiesta, esortando tutte le parti a “unire le forze immediatamente prima che sia troppo tardi per affrontare questa travolgente minaccia in rapida espansione”.

Ma malgrado queste grida di allarme, il traffico d’armi continua. Il ministro dell’Interno di Tripoli, Fathi Bashagha, ha accusato gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto e la Giordania di violare ripetutamente l’embargo sulle armi: “Alcune grandi nazioni nel consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sembrano vivere nella paura di queste piccole nazioni. Negli ultimi cinque anni, abbiamo notato un cambiamento nella comunità internazionale  una mancanza di credibilità internazionale e un rifiuto di mantenere la parola”.

Sul ruolo della Russia in Libia, ha poi dichiarato: “Vediamo una Nazione formare un’impresa di sicurezza privata per venire a combattere”, stimando il numero di mercenari del gruppo russo Wagner tra i 1.400 e i 2.000 combattenti, ha detto: “Sono cittadini russi e [alla fine] rispondono al governo russo. La Russia ha un suo progetto strategico, non solo in Libia, ma in tutta l’Africa “. Bashagha ha poi fatto una valutazione sul costo complessivo della sollevazione che fa capo ad  Haftar per il popolo libico: “La Libia ha perso 36 miliardi di dollari di entrate e il fatto che il fronte ribelle  abbia stampato una valuta parallela in Russia ha portato a una caduta del valore del dinaro.” “Non crediamo che Haftar smetterà di bombardare Tripoli, quindi non pensiamo di avere alcuna soluzione se non di respingerlo”. Ha aggiunto che, con la recente assistenza al ribilanciamento della Turchia, “abbiamo forze e potenza sufficienti per respingerlo”.

All’inizio di marzo l’incapacità delle Nazioni unite di imporre un embargo sulle armi, i continui combattimenti intorno a Tripoli e l’impasse nei negoziati su un cessate il fuoco hanno portato alle dimissioni dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, Ghassan Salamé. Anche le divisioni diplomatiche in Occidente per il sostegno a Haftar lo avevano indebolito. L’ispettore delle Nazioni Unite per la Libia, Moncef Kartas, ha dichiarato che “non c’è rispetto per l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite, assolutamente nessuno”. Il vice inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, Stephanie Williams, ha descritto l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite imposto alla Libia come uno scherzo.

Ed è su questo sfondo di guerra autentica che la Libia affronta l’emergenza della nuova pandemia. Un giorno dopo l’annuncio di martedì, l’amministrazione parallela che controlla la Libia orientale – guidata da Khalifa Haftar – ha annunciato che avrebbe imposto un coprifuoco dalle 18:00 alle 6:00, escludendo il personale di sicurezza e di emergenza, per evitare la diffusione del coronavirus. Dopo aver chiuso le scuole la scorsa settimana, il Gna ha detto, lunedì, che stava chiudendo i confini terrestri e fermando i voli nell’ovest del paese per tenere fuori il virus. A Est, i confini rimangono aperti con l’Egitto, che ha riportato 166 casi di Covid-19.

Red/Ma.Sa.

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