Interventi. Mao Valpiana sulle stragi in Israele e a Gaza: "Ci vorrà un tribunale speciale per capire fino in fondo l’entità della strage in atto e condannare tutti i responsabili"
di Mao Valpiana*I capi di Hamas, ideatori e responsabili della pianificazione dell’attacco al cuore di Israele del 7 ottobre, non sono a Gaza; vivono protetti nel Qatar, in Iran, in Libano. Sono generali che conoscevano benissimo la reazione di Israele, che avrebbe decuplicato il numero delle vittime subite. Quei generali considerano la povera gente di Gaza come carne da macello, da sacrificare “fino all’ultimo uomo” (misogini come sono non considerano le donne nemmeno da morte). Hanno introdotto a Gaza carburante per il lancio dei missili, ma non per i generatori degli ospedali. Hanno introdotto tecnologia avanzata per ordigni, ma non taniche d’acqua potabile per la gente. Sono di fatto nemici del loro popolo. Mistificano la resistenza con il bisogno di martiri. Mi hanno fatto venire in mente una vecchia canzone antimilitarista di Enzo Jannacci, “Il monumento”: “il nemico non è oltre la tua frontiera, non è al di là della tua trincea: il nemico mangia come noi, parla come noi, ma è diverso da noi. Il nemico ruba il pane per fare altri cannoni, per un’altra guerra”.Il cinismo con il quale agiscono questi capi militari, che nascondono gli ostaggi tra la popolazione, rendendola un bersaglio sacrificale, richiama l’indifferenza di alcuni generali italiani per i loro soldati durante la Grande Guerra. Le truppe sbandate del Regio esercito italiano, in prevalenza poveri giovani operai e contadini analfabeti, dopo la disfatta di Caporetto si resero ben conto che la responsabilità della tragedia che stavano vivendo era da imputarsi non solo alla superiorità degli eserciti austro-ungarico e tedesco, ma soprattutto al cinismo e alla strategia dei “generali felloni” come Cadorna e Graziani, che li mandarono al massacro. “Cadornismo” fu il termine coniato da Gramsci per definire “l’abitudine criminale di trascurare di evitare sacrifici inutili”. Cadorna ieri, e Hamas oggi, dice Gramsci, “hanno mostrato di non tenere conto del sacrificio altrui e hanno giocato con la pelle altrui”. Il nemico più pericoloso è il nemico vicino, interno: i carabinieri che sparavano alle spalle dei disertori, i terroristi di Hamas che impediscono ai civili di lasciare le loro case che sono nel mirino degli israeliani.Allo stesso modo i civili di Israele, i familiari degli ostaggi, hanno come primo nemico il loro fronte politico interno, che li rende vittime designate dell’odio delle migliaia di terroristi che si stanno formando tra le macerie di Gaza. Dirò poche parole su quanto stanno facendo le forze armate israeliane, di terra e dell’aviazione, nella striscia di Gaza, perché è sotto gli occhi di tutti. Per mirare a distruggere i centri operativi di Hamas, si sta colpendo indiscriminatamente la popolazione civile: le migliaia di civili morti, in prevalenza bambini e donne, sono considerati “effetti collaterali”, ma sono veri e propri crimini di guerra. È il “terrorismo aereo”, per fiaccare il morale della popolazione civile (già collaudato storicamente da Stati Uniti e Regno Unito a Dresda, attuato poi dalla Russia con la distruzione completa di Groznyj nella prima guerra cecena o ad Aleppo nella guerra siriana). I civili sono il vero obiettivo dei bombardamenti a tappeto.
Ci vorrà un tribunale speciale per capire fino in fondo l’entità della strage in atto e condannare tutti i responsabili. Il governo di Netanyahu ha trasformato la legittima difesa in vendetta, la giustizia in rappresaglia. Israele aveva molte ragioni dopo l’attacco terroristico subito il 7 ottobre, davvero “senza precedenti”, ed ora ha anche molti torti, troppi torti. La richiesta che viene dalle due popolazioni civili, “Cessate il fuoco”, è l’imperativo che anche l’Onu e il Papa, e il movimento pacifista mondiale, hanno come priorità assoluta. Per questo le manifestazioni per la pace non possono essere a senso unico: devono condannare i nemici interni della Palestina e di Israele, sostenere i diritti dei due popoli, piangere le vittime delle due parti, sostenere i gruppi misti che prefigurano la convivenza necessaria e desiderabile.
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