No al reato di clandestinità

di Claudia Fava del Piano

No al reato di clandestinità. Non è lo slogan di qualche organizzazione umanitaria, ma quanto affermato da Giuseppe Canzio, primo presidente della Suprema Corte di Cassazione, all’apertura dell’anno giudiziario. Secondo quanto previsto, infatti, dall’articolo 10 bis del T. U. è clandestino e quindi passibile di condanna penale al pagamento di un’ammenda compresa fra i 5.000 e i 10.000 euro chiunque si introduca e successivamente permanga illegalmente sul territorio dello Stato italiano. Non da oggi molti giuristi hanno messo in guardia circa la presenza in questa  disposizione. Si parla di profili di incostituzionalità. Essa  trasforma, infatti, in reato una condizione (quella  di clandestino)  invece di procedere all’individuazione di un fatto-reato, come  ad esempio l’attraversamento illegale del confine italiano. Le parole del  Primo Presidente Canzio ci ricordano quelle del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo Franco Roberti,  il quale aveva già ribadito come il reato di clandestinità non sia  soltanto inutile, ma anche dannoso alle indagini. Il fatto, che i migranti stessi debbano essere considerati imputati di tale reato intralcia i magistrati che li interrogano per  indagare sugli scafisti. Questo, aveva spiegato Roberti,  ha due risvolti negativi: il primo che, essendo imputati, i migranti non hanno alcun obbligo giuridico a dire la verità, come invece avrebbero se fossero sentiti in qualità di testimoni o di persone informate sui fatti; il secondo in termini di costi per la difesa d’ufficio degli imputati, spesso nulla tenenti. La dichiaraziondel Procuratore Nazionale  Roberti è  dell’8 gennaio 2016. Poco dopo  Angelino Alfano, allora Ministro dell’Interno, avrebbe giustificato il mancato inserimento del reato di clandestinità nel decreto legislativo sulle depenalizzazioni come un segnale  agli Italiani che il Governo non stava abbassando la guardia sul tema della sicurezza. È già trascorso un anno e nulla è cambiato. Eppure verrebbe da chiedersi se qualcuno in Italia si senta più protetto per il solo fatto che questa legge sia ancora in vigore. Basterebbe ragionare, in modo obiettivo, per rendersi conto che il pagamento di un’ammenda compresa fra i 5.000 e i 10.000 euro non può rappresentare in alcun modo un deterrente per chi versa in condizioni di povertà assoluta. I numeri  dicono, infatti, che i migranti “clandestini” non sono diminuiti. Allora, forse, basterebbe sanzionare con la sola espulsione chi è clandestino, senza accanimento, senza barricarsi dietro la pretesa di proteggere il Paese dal terrorismo.  Da chiarire rimane l’ambito di applicazione della Bossi-Fini. Il Testo Unico sull’immigrazione dovrebbe infatti occuparsi di tutti i migranti che non possono essere compresi nel dettato dell’articolo 10 della Costituzione: «Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Ne consegue, dunque, la divisione astratta in due gruppi, il primo (quello dei richiedenti asilo), che soggiace alla disciplina costituzionale dell’articolo 10, il secondo (quello dei migranti economici) che deve attenersi al disposto del Testo Unico. Tuttavia la divisione non è così manichea . La vera questione sta nel fare chiarezza su quali e quante  siano le libertà democratiche garantite dalla Costituzione. Perché  non si tratta  di pochi fondamentali diritti, ma di una serie articolata e vasta che spazia dai rapporti civili, a quelli etico sociali, economici e politici. Il legislatore del ’48 ha garantito ai cittadini della Repubblica una amplissima gamma di libertà, che investono tutti gli ambiti della vita dell’individuo. Il viaggio alla scoperta di questi preziosi diritti è davvero esaltante . Si scopre che in questo Paese è garantito il diritto di riunirsi in associazione, di scioperare, di esprimere senza pericolo di censura il proprio pensiero, anche attraverso la propria opera intellettuale. In Italia è un diritto la parità tra uomini e donne, a tutti è riconosciuto il diritto all’istruzione, al voto, alla libera iniziativa economica, alla proprietà privata e ad avere un giusto processo, a non essere, quindi, sottratti al proprio giudice naturale. Insomma, la libertà declinata in tutte le sue forme. Viene da chiedersi, allora, se davvero chi deve decidere come qualificare un migrante si  ricordi di tutto questo o se prevalga un cinico bisogno di far quadrare i conti, di fare la parte del buon samaritano senza scontentare, però, chi vorrebbe tutti i “clandestini” espulsi. Questo buco legislativo, questa noncuranza che la politica continua a riservare al problema dei migranti, offende la dignità umana. Di tutti gli esseri umani . Anche la nostra.

 

foto tratta da http://www.strettoweb.com/2015/09/calabria-una-casa-per-migranti-sorge-in-un-ex-carcere/318398/

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