Sudan, sedata la rivolta dei militari

La riorganizzazione delle forze armate ha provocato ammutinamento e scontri con alcune frange dell'intelligence, ma il Governo di transizione annuncia il ritorno alla normalità

Sedata la rivolta di una frangia di militari che in Sudan ha messo a dura prova la debole fase di transizione verso la democrazia. Da alcuni giorni i disordini avevano paralizzato la vita in diverse parti della capitale, Khartum, e portato al blocco del traffico aereo e allo stop della produzione di petrolio. All’origine della protesta ci sarebbe la riorganizzazione delle forze armate, uno degli obiettivi dell’accordo di transizione. Il programma al vaglio richiede lo smantellamento di un ramo dell’agenzia di intelligence e la fusione con l’unità paramilitare, le Forze di sostegno rapido, nota per la sua brutale repressione degli insorti nella regione del Darfur e in prima fila nel sostegno al presidente Omar Hassan Al-Bashir.

A seguito di questa riorganizzazione gli ufficiali dell’intelligence licenziati senza ricevere quello che consideravano un equo compenso sono scesi in strada e hanno occupato il quartier generale di un’agenzia di intelligence. Il primo ministro sudanese Abdallah Hamdok ha descritto l’ammutinamento come “discordia” volta a “interrompere la transizione della nazione verso la costruzione di una solida democrazia”.

Gli scontri hanno ucciso due persone e ferite altri quattro, tra cui due ufficiali. Nella giornata di ieri il governo ha però dichiarato di aver riaperto il suo spazio aereo dopo che la rivolta armata all’interno delle sue forze di sicurezza aveva chiuso l’aeroporto della capitale per ore. Il ministro del petrolio del Sudan ha poi dichiarato la ripresa della produzione di petrolio in due campi che erano stati sequestrati da ufficiali ribelli.

In una conferenza stampa, il generale Abdel-Fattah Burhan, capo del consiglio di transizione al potere del paese, ha annunciato che “la vita è tornata alla normalità”. Secondo alcuni osservatori dietro questa spinta contro la transizione ci sarebbero però anche ragioni legate ad alcune frange estremiste.  Tra i provvedimenti del governo in carica c’è stata infatti l’abolizione del partito di Al-Bashir e di leggi “sull’ordine e la morale pubblica” improntate alla sharia e all’origine dell’arresto di migliaia di donne.

Buone nuove, invece, sul fronte Sudan del Sud. Il 15 gennaio dovrebbe infatti essere partita la cessazione delle ostilità a seguito di un dialogo politico accompagnato dalla Comunità di Sant’Egidio. Secondo la Dichiarazione di Roma sul processo di pace in Sud Sudan, sottoscritta nella sede della Comunità di Sant’Egidio dai rappresentanti del governo e delle forze di opposizione, dovrebbe essere garantito il libero accesso delle organizzazioni umanitarie, per alleviare le sofferenze della popolazione provata da anni di conflitto e dalle recenti inondazioni.

(Red/Al.Pi.)

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