Esodo dal Venezuela: è crisi umanitaria

La Colombia ha già accolto due milioni di persone mentre il Messico chiede aiuto alla comunità internazionale

di Maurizio Sacchi

L’esodo dal Venezuela è una crisi umanitaria: così è necessario definirla, poichè secondo le stime dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Onu, due milioni circa di venezuelani sono stati costretti ad abbandonare il loro paese negli ultimi quattro anni. Ma sono certamente di più. Ha destato un certo scalpore la notizia che la situazione venezuelana fosse indicata come una delle dieci più gravi del mondo: per l’Irc, International Rescue Committee, merita di essere messa accanto a Yemen, Siria e Afghanistan, come una vera catastrofe.

Il rapporto dell’Acnur è della fine di ottobre del 2018. In seguito alla crisi, anche la OEA. l’organizzazione degli stati americani, ha istituito un gruppo di lavoro con esperti di tutta America, Venezuela compreso, per affrontare la crisi, che coinvolge anche gli altri Paesi dell’America latina.

Secondo il segretario generale, Luis Almagro, gli esperti dovranno “fornire soluzioni all’esodo del popolo venezuelano, il volto più visibile della crisi umanitaria in Venezuela, che oggi percorre a piedi tutte le città e le città delle Americhe in cerca del pane che non possono ottenere nella propria terra “. Secondo le statistiche dell’ACNUR, circa 750.000 sono quelli che hanno richiesto lo status di rifugiato. Ma per una stima del settimanale colombiano Semana, nella sola Colombia sarebbero arrivati già due milioni di migranti. E la cifra che viene riportata dai media internazionali parla di un totale di tre milioni di persone.

E’ questo il dato citato dal Guardian e da El Pais, che hanno entrambi dedicato un’analisi di fine anno alla situazione del paese bolivariano. In particolare, il passaggio del ponte Simon Bolivar, che sulle Ande mette in comunicazione Venezuela e Colombia, è stato descritto come un teatro di drammi quotidiani, in cui quasi 5000 persone ogni giorno si accalcano, spesso in condizioni di salute drammatiche per raggiungere la città di Cucuta, cresciuta a dismisura in pochi anni. Sono sorte ovunque bidonvilles e abitazioni d’emergenza appena oltre il confine, dove si vive in condizioni estreme.

La causa principale dell’esodo è la povertà. Da uno studio del venezuelano Instituto Nacional de Estadistica (ENCOVI), quasi il 90% della popolazione vive in stato di povertà, e il sistema sanitario è al collasso. L’inflazione è all’82.766% e potrebbe arrivare al 1.000.000% in breve. Sono dati confermati dallo stesso governo di Maduro. Che però attribuisce la causa della crisi al sabotaggio delle “economie imperialiste”, che con le sanzioni imposte per le violazioni dei diritti umani avrebbero strangolato l’economia nazionale.

Un’altra causa del collasso dell’economia di Caracas è determinata dal crollo dei prezzi del petrolio, che è la principale fonte di entrate per il Paese. Con esso, anche una buona parte dei fondi necessari a sostenere il traballante progetto avviato da Chavez è sfumata. Ma i rapporti che giungono dai rifugiati e dai migranti parlano di assistenza medica negata a chi è contrario al regime. Di assassini di oppositori in via extra giudiziaria. E semplicemente non c’ è da mangiare.

Il Paese che più ha ricevuto l’impatto dell’esodo, definito “biblico” da El Pais, è la Colombia. Secondo Semana, il settimanale fondato da Gabriel Garcìa Marquez, Semana , occorre

“…quantificare e ottenere le risorse necessarie ad assorbire una popolazione di 2 milioni di venezuelani in fuga. Quanto costa integrarli nel paese e soddisfare i loro bisogni di base? Collegarli al sistema educativo e al sistema sanitario?”.

Anche l’impatto demografico di questa migrazione di massa contribuisce ad aumentare la tensione fra Venezuela e Colombia, che è costellata di incidenti. Anche una parte della guerriglia Bolivariana colombiana è passata in Venezuela: si tratta di coloro che non hanno aderito al processo di pace e di disarmo, che è andato in porto, ma in mezzo a mille polemiche sulla sua efficacia. Lo spauracchio della guerra fra i due Paesi è probabilmente solo un arma retorica, usata da entrambe le parti più ad uso interno: per denunciare lo stato d’assedio in cui vive il Venezuela, o per accomunare crimini della guerriglia e di Maduro.

Ma una guerra “a bassa intensità”, come è stato definito il lungo confronto fra e Farc e il governo Colombiano, che dal 1948 al 2013 ha fatto 220.000 morti, di cui 170.000 civili e solo 50.000 combattenti, in qualche modo continua.

Il Messico si dissocia. Ultima ora: un gruppo di 13 Paesi dell’America Latina ha firmato un comunicato, nel quale si chiede aiuto alla comunità internazionale per l’emergenza causata dall’afflusso in massa di profughi e migranti dal Venezuela. Poichè però il comunicato dichiara illegittime le ultime elezioni in Venezuela, che hanno confermato Maduro alla presidenza, il Messico non ha firmato. Andrés Manuel López Obrador, il nuovo presidente, che ha promesso una svolta radicale, manda così un segnale proprio all’inizio del suo incarico.

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