Fine anno di terrore

Un bilancio di sangue per Mali, Niger, Burkina Faso e Somalia. Gli ultimi attacchi.

Gli ultimi giorni dell’anno sono stati caratterizzati da attacchi terroristici in molti stati africani. Partiamo dalla regione del Sahel con il Niger, Paese sempre più preso di mira. Il 25 dicembre sono stati trucidati 14 militari nigerini nella regione di Tillabéri, nell’Ovest del Paese, al confine con il Mali. Un convoglio, scortato da gendarmi e membri della guardia nazionale, è stato attaccato da uomini armati. I militari si trovavano in quella zona con la funzione di addetti alla sicurezza per coloro che avevano il compito di stilare le liste degli aventi diritto al voto nell’area di Sanam per le elezioni presidenziali che si svolgeranno alla fine del 2020. Un altro attacco si è poi verificato tra sabato 28 dicembre e domenica 29 in una stazione di polizia locale del Niger a 160 chilometri a Ovest di Niamey, nella zona del Gourma. Gli aggressori, non identificati, hanno ucciso un poliziotto nei pressi del sito di estrazione artigianale di oro di Komabangou, dato fuoco al veicolo della polizia e saccheggiato il villaggio prima di fuggire verso il confine con il Burkina Faso.

E proprio in Burkina Faso la situazione è decisamente peggiorata negli ultimi mesi e negli ultimi giorni. Il 10 dicembre terroristi hanno attaccato la base militare di Inates, uccidendo oltre 70 soldati. L’aggressione era stata rivendicata da miliziani di Abou Walid al-Sahraoui, leader di “Etat Islamique dans le Grand Sahara”, attivo nell’area di confine tra Mali, Burkina Faso e Niger. Nella notte tra il 24 e il 25 dicembre, poi, si è verificata poi un’altra mattanza. I terroristi hanno teso un’imboscata a un gruppo di militari burkinabé a Hallalé, nella provincia di Soum. Il bilancio parla di 35 persone rimaste uccise tra civili e militari. Il massacro avvenuto ad Arbinda, vicino alla frontiera con il Mali, non è stato ancora rivendicato.

Anche il Mali non è immune dalla scia di sangue. Un uomo è morto e altri quattro sono stati feriti durante un’incursione nel villaggio di Diangassabou, nell’area Bandiagara, territorio dell’etnia dogon il 23 dicembre. Secondo le autorità gli aggressori armati sono stati respinti grazie all’intervento dell’esercito.

Pochi dopo la strage di Inates in Niger, i capi di Stato del G5 Sahel (Ciad, Mauritania, Niger, Burkina Faso e Mali) si sono riuniti a Niamey per rinforzare la loro cooperazione e per capire come migliorare il coordinamento tra le forze congiunte, le forze nazionali e quelle internazionali alleate. I rappresentanti dei cinque Stati hanno poi rivolto un appello (l’ennesimo) alla comunità internazionale per un maggiore sostegno nella lotta contro il pericolo jihadista.

Ma non solo il Sahel è scosso dagli attacchi terroristici. A Mogadiscio, in Somalia, un’automobile è esplosa in una zona affollata nei pressi di un check point situato vicino ad un ufficio postale. Le autorità parlano di oltre 90 morti tra i quali numerosi bambini e studenti. Più di 100 i feriti. Pare che il kamikaze si sia fatto saltare in aria vicino a un ufficio delle imposte.

La polizia ha parlato di “un’esplosione devastante”, il peggior attacco in tempi recenti. Per il momento nessun gruppo ha rivendicato l’attentato. Inizialmente il sospetto è andato verso il gruppo degli al-Shebaab legati ad al-Qaeda, responsabili di molti attacchi a uffici governativi e hotel nel Paese. Nella giornata di ieri invece la Somalia National Intelligence and Security Agency (Nisa), l’intelligence di Mogadiscio ha riferito di aver “presentato alle autorità nazionali un rapporto iniziale secondo cui il massacro (avvenuto) a Mogadiscio il 28 dicembre 2019 sarebbe stato pianificato da un Paese straniero”.

*In copertina l’immagine dell’esplosione a Mogadiscio, da Twitter, fonte Reuters

di Red/Al.Pi.

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