di Maurizio Sacchi
Il riannodarsi a metà ottobre dei dialoghi commerciali fra Stati uniti e Cina ha sollevato commenti contrastanti fa gli osservatori ed operatori economici internazionali: il consigliere economico della Casa Bianca Larry Kudlow respinge le critiche al provvisorio accordo commerciale con la Cina : ”La gente non dovrebbe essere così pessimista sui colloqui in Cina, potrebbe venirne fuori qualcosa di buono“, ha detto alla CNBC. “Per quanto riguarda gli scettici là fuori, li apprezzo e rispetto il loro punto di vista, ma io vi dico che c’è molto slancio, e c’è accordo da entrambe le parti. “
Su CNBC, il più seguito canale di business americano, Kelly Evans commenta scettica: “Nel frattempo, in Cina …. sigh. I funzionari cinesi parlano positivamente dell’accordo, bla, bla. E anche Larry Kudlow si dice ottimista. Insomma, i mercati stanno ancora dando alla “tregua commerciale” il beneficio del dubbio (probabilmente sperando che ci siano ancora possibilità che le tariffe del 15 dicembre vengano tolte)”. La Evans fa riferimento a una nuova raffica di tariffe su una serie di merci cinesi, che scatterebbe tra due mesi, se non vi sono sostanziali progressi.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha descritto l’accordo come una “fase uno molto sostanziale“. Esso include acquisti da parte della Cina di prodotti agricoli americani per un valore compreso tra 40 e 50 miliardi di dollari, nonché accordi sulla proprietà intellettuale e sui servizi finanziari: un “ottimo affare per gli agricoltori”, nelle parole del presidente.
“Questo è davvero un buon segno per i nostri coltivatori di soia statunitensi”, ha affermato Jim Sutter, amministratore delegato del Consiglio delle esportazioni di soia degli Stati Uniti. La soia è il raccolto di maggior valore degli Stati Uniti. L’American Farm Bureau ha dichiarato che, pur restando il maggiore importatore di soia americana, le esportazioni in Cina sono crollate del 53% nel periodo 2018-2019. Nonostante il tono ottimista, gli analisti del settore agricolo hanno affermato che la Cina è ancora molto lontana dai 50 miliardi di dollari di acquisti di prodotti agricoli dagli Stati Uniti. “Penso che sia un numero insignificante, buttato fuori per ottenere titoli sui giornali, e non accadrà“, ha detto un analista di materie prime a Reuters lunedì.
Più che sui risultati immediati di questa tregua, sia gli ottimisti che i pessimisti volgono lo sguardo alle prospettive di medio e lungo termine. E qui il contrasto non sembra attenuarsi, fra chi vede nella linea dura la sola strategia sensata, e chi ritiene che la guerra commerciale non sia solo inutile, ma anche deleteria per l’economia mondiale, e per gli stessi Stati uniti. Qui gioca un ruolo fondamentale , più che il presente, futuro, nel quale da parte americana – e non solo dei sostenitori di Donald Trump – cresce il timore di un sorpasso della Cina sul piano economico e strategico.
Un capitolo a parte gioca l’affare Huawei, il colosso delle comunicazioni; e la tecnologia 5G, su cui l’azienda cinese è in netto vantaggio. Questo argomento, che ha forti implicazioni non solo sull’accesso ai dati sensibili della difesa e della sicurezza nazionale, ma anche sul controllo degli utenti, cioè su praticamente tutta la popolazione, è fortemente collegata ai temi della democrazia e dei diritti umani. Lasciando a una prossima analisi l’argomento specifico di Huawei, il tema del controllo che la Cina potrebbe esercitare, potendo accedere a miliardi di dati personali in tutto il Pianeta, e soprattutto l’uso che ne potrebbe fare, preoccupano anche il Partito democratico, e l’opinione liberal a stelle e strisce.
A scuotere gli animi in America è stato uno scandalo minore, ma di grande impatto mediatico: un dirigente di una squadra della NBA, il campionato Usa di basket, seguitissimo in Cina, ha twittato in appoggio dei manifestanti di Hong Kong, suscitando l’immediata reazione della Cina: che ha minacciato di sospendere i lauti pagamenti dei diritti sulle trasmissioni delle partite; e inducendo a un cauto silenzio molti campioni del canestro, che nelle tournee estive e nella vendita di gadget nel Paese asiatico hanno una grande fonte di guadagno. E al massimo dirigente della NHL – la Lega di hockey su ghiaccio, anch’essa seguitissima nel Regno di mezzo-, è stato chiesto se pensava ancora che ora fosse il momento giusto per espandersi in Cina (fondamentalmente “sì”) e come avrebbero gestito la questione di Hong Kong e sulla libertà di esprimersi da parte degli iscritti (“affidandosi al buon senso dei giocatori”).
Uno scandalo apparentemente minore, ma che ha richiamato l’attenzione del grande pubblico su una tematica scottante. Quella dei rischi per le libertà individuali collegati al controllo delle comunicazioni. Ajit Varadaraj Pai, presidente della Federal communications commission degli Stati ha riassunto abbastanza bene in questo tweet: “Se è così che la Cina è intenzionata a usare la sua leva finanziaria sul basket, gli e-sport e gli emoji di bandiera, immagina cosa potrebbe accadere se lasciamo che le attrezzature delle aziende cinesi entrino nell’America Reti # 5G “
Un altro esempio di come il tema dei diritti umani e della democrazia stia spostando una parte importante dell’opinione pubblica occidentale a favore di un confronto duro con Pechino lo offre il Guardian di Londra che dedica una riflessione sul sistema di potere cinese : “Quello che sta succedendo è che le illusioni di decenni di speranzosi pensieri occidentali sulla Cina sono state finalmente venute alla luce nella crisi di Hong Kong. Queste illusioni hanno assunto varie forme nel corso degli anni. In primo luogo, c’era la teoria secondo cui poiché lo sviluppo economico richiedeva il capitalismo, ciò avrebbe portato alla democrazia. I cinesi hanno detto che avrebbero avuto l’uno senza l’altra, grazie mille. E lo hanno fatto”.
“Poi c’è stata la fantasia che l’adozione di Internet avrebbe portato apertura e quindi democrazia. Stessa storia. L’illusione più recente è che l’attuale svolta della Cina verso il totalitarismo sia condannata in partenza perché tali società ristagnano e decadono. Xi Jinping e i suoi colleghi la vedono in altro modo: credono che la tecnologia dell’informazione possa consentire loro di mantenere il controllo totale senza sclerosi. Dato il loro curriculum, non sarebbe saggio puntare contro di loro”, conclude il quotidiano britannico.
L’opinonista del Guardian, John Naughton, conclude che l’Occidente – e le sue gigantesche corporazioni tecnologiche – devono urgentemente escogitare un modo diverso di trattare con la Cina rispetto all’attuale approccio, originato dal suo potenziale di mercato. E chiama “servile” l’atteggiamento delle multinazionali nei confronti del governo di Pechino. Di fatto, sostenendo la linea dura che la maggior parte degli economisti ritengono la causa prima della recessione in corso.
Hong Kong ha già contribuito a accentuare, nelle stesse file progressiste sulle due sponde dell’Atlantico, la diffidenza verso la Cina. E se questa linea si affermasse, anche la prospettiva di una fine della guerra commerciale, in caso di vittoria democratica alle elezioni Usa dell’anno prossimo, si allontanerebbe. E la recessione mondiale, che solo apparentemente e per breve tempo, non tocca gli Usa, si aggraverebbe, con conseguenze non solo sul piano economico, ma con mille emergenze umanitarie e politiche in un mondo in crisi.
In copertina uno scatto da Unsplash di Hong Kong
Qui sopra un fotogramma dell’ex colonia da un filmato del Guardian