Cartolina da Banja Luka, vent’anni dopo la fuga

Di Edvard Cucek

Tre giorni di visita a Banja Luka. Una volta “La bellissima” della Bosanska krajina. Città delle belle donne. Città della gioventù particolarmente attiva. Città dei tigli (verissimo, a giugno profumava di tiglio da non credere). Città dello sport, di un indimenticabile campione dell’Europa, pugile e poeta Marijan Benes e dell’oro delle olimpiadi giovane pugile Anton Josipovic che decise di condividere il podio del vincitore  con il famosissimo ma appena squalificato (il “campione” al quale il destino girò le spalle quel giorno) Mr. Hollyfield. Città di un tennista molto conosciuto  Ivan Ljubicic. Città verde, di vialoni verdi e dritti. Città di un unico e potente fiume Vrbas e della sua famosa “barca”, il cosiddetto “dajak,  stretta e lunghissima fatta per i ragazzi forzuti che stando in piedi sui pochi centimetri quadrati della poppa  riescono a portarlo controcorrente, aiutandosi con un bastone lungo e spingendosi al letto del fiume. Città dei pittori. Città del canto e di cantanti (un vecchio detto una volta suggeriva; “ quando ti avvicini a Banja Luka non cantare, non metterti in imbarazzo”). Città che una volta era anche la mia.

E’ il primo di novembre, giorno di Ogni Santi. Il cimitero cattolico grande, vasto e bagnato dal sole (tanti lo considerano un monumento da salvaguardare, e io lo sottoscrivo assolutamente,  in quanto è l’unica testimonianza che non tanti anni fa l’Europa in queste terre era a casa propria)  è più vivace del solito. Davanti tante macchine con la targa straniera, lungo i camminamenti tutto pieno di bancarelle con i fiori, candele, figurine (non era così neanche ai tempi di pace, devo dire). Dentro soprattutto persone anziane, qualche famiglia che sembra completa, con i piccoli che molto probabilmente sono qui per la prima volta a vedere i nonni. Li hanno visti sempre sulle fotografie, ma ora in un ambiente a loro completamente sconosciuto.

Nelle loro nuove patrie per fortuna ancora non hanno ancora bisogno di frequentare i cimiteri. Onestamente, sarebbe da dire che in quei paesi non hanno le loro radici, ma non si può: si va sempre a ripetere, a rivangare le stesse cose. Non si arriva mai alla pace, si impedisce che il tempo faccia il proprio lavoro, far dimenticare.

Questa volta sono riuscito a convincere un giornalista e un operatore di ripresa a venire con me e vedere questo posto di cui si parla poco. Sono sicuro che diventeremo amici. Banja Luka non interessa molto ai giornalisti.  Questa città non ha avuto il destino ne di Srebrenica, ne di Sarajevo ne di Mostar. Per fortuna.

Questa città, però, non è più quella di prima. Proprio come Srebrenica, Sarajevo e Mostar. Che cosa è successo qui allora ?? A Banja Luka, a quella del 1992, mancano circa 75 000 cittadini. Adesso sicuramente il numero è ancora cresciuto. E’ vero, ne sono arrivati di nuovi, ed proprio quello che la rende così diversa. Prima degli anni novanta in città non c’era una maggioranza etnica, visto che tristemente questo è un dato inevitabile da quando, incoraggiati da tutto “il mondo malintenzionato”, abbiamo cominciato a contare i globuli rossi uni agli altri. Il fatto più importante, da allora, era la presenza dei cittadini che qualche anno dopo diventeranno NON COSTITUTIVI.

Una volta noi eravamo orgogliosi della presenza dei nostri Sloveni e Italiani (specialmente numerosi i trentini e i friulani ), dei nostri Slovacchi e Ungheresi, dei nostri Cechi e Russini , dei nostri Tedeschi e Ucraini, dei nostri Macedoni e Austriaci, dei nostri Albanesi e Kosovari e Bulgari, addirittura qualche Belga e Olandese, dei nostri Rom bosniaci ma anche quelli del resto della ex Jugoslavija. Eravamo un piccolo mondo in non tantissimi chilometri quadrati. Nessuno poteva dire che per lui in quel posto non c’era spazio.

Dopo questa introduzione ogni lettore vorrebbe i numeri, immagino, per argomentare ciò che ho appena scritto. Ma io di numeri non voglio sapere niente. Mi piacerebbe se chi legge questo articolo andasse a curiosare da solo. Per capire. Per spiegare a se stessi come è possibile che una città in cui la guerra non l’abbiamo vista sia stata ferita così ferocemente. Etnicamente ripulita in modo quasi chirurgico.

Scrivo queste righe per un motivo. In questi giorni, forse la prima volta in maniera così esplicita, a Banja Luka si terrà il convegno organizzato dalla Accademia Europea presso la diocesi di Banja Luka, con tanti relatori e persone che in merito hanno molto da dire e svelare e un tema unico: 20 anni dall’esodo dei cattolici della zona di Banja Luka, 20 anni dall’esodo dei cittadini della zona di Banja Luka non appartenenti alla etnia Serbo bosniaca. L’esodo che ebbe inizio già da primavera del 1992 e si concluse con la partenza finale di più di 20 000 persone verso la Croazia per attraversare il fiume Sava ( le strade erano intasate dai profughi Serbi della Croazia) e scappare prima in Croazia e dopo chi sa dove. Avvenne in poche settimane tra agosto e settembre del 1995.

La mia stretta di mano, almeno, va a tutti quelli cittadini di Banja Luka di oggi e di quella che ormai non c’e più, a coloro che parleranno, spero liberamente, di una città che ha martoriato i propri cittadini senza mai dichiarare la guerra. Il mio pensiero va a tutti i miei concittadini che in questi 20 anni hanno cercato di ritornare, ma sono sempre stati ostacolati. A volte in maniere così banali,  che potrebbe sembrarvi fantascienza.

Un caro saluto a tutti.

 

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