di Raffaele Crocco
Alla vigilia dei due anni dall’invasione russa, nel giorno 715 della guerra fra Kiev e Mosca, le novità non vengono dal campo di battaglia. Sta cambiando la strategia, cambiano gli obiettivi, almeno per parte degli alleati dell’Ucraina. Dal Washington Post filtra la notizia che gli Stati Uniti avrebbero un nuovo piano: aiutare Kiev a respingere gli attacchi russi, senza più la pretesa di riconquistare i territori perduti.
Tutto questo mentre il Senato statunitense deve decidere se rifinanziare davvero quella guerra e alcuni alleati europei iniziano a rallentare. E’ uno scontro duro, che si traduce anche nella lotta politica a Kiev. Il presidente Zelensky resta l’araldo della tesi della riconquista totale del territorio, a differenza del generale Valerij Zalunznyj, attuale capo delle Forze Armate. Che infatti, ha rimosso, sostituendolo con il generale Oleksandr Syrskyi
Zalunznyj voleva consolidare le difese, evitare di dissanguare le risorse in contrattacchi che non hanno portato ad alcun risultato. Lo scontro fra i due era ormai evidente, con Zelensky sempre più intenzionato a rimuovere il generale. A fianco del Presidente sembrano essere anche l’Unione Europea e la Nato, sempre convinte della necessità di armare Kiev per costringere Putin a mollare la presa e tornare nei propri territori. Intanto si combatte.
Mosca continua a bombardare le città. E’ stata colpita anche Kiev: una parte della capitale è rimasta senza corrente elettrica. Le forze russe bombardano anche la città di Kharkiv, nell’Ucraina orientale. Intanto, il capo dell’Amministrazione militare dell’omonima regione, Oleg Synegubov, ha affermato che l’esercito russo ha lanciato almeno quattro attacchi nella regione. Attacchi continui, che destabilizzano una situazione internazionale sempre più precaria. Il filo diretto con quanto accade a Gaza è sempre più evidente.
L’impatto strategico ed economico che i due scenari hanno continua a sovrapporsi, mostrando una unica lotta per il controllo del Pianeta. Tutto appare sempre più in connessione. Il Governo israeliano, con il premier Netanyahu, ha ribadito di voler arrivare fino in fondo a Gaza. La guerra non si interrompe e i civili continuano a morire. Il numero dei morti potrebbe aver toccato i 30mila. Le pressioni internazionali non sono sufficienti a fermare la macchina da guerra israeliana. A Ramallah, il segretario di Stato statunitense Blinken ha incontrato il Presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen. Ha ribadito il “sostegno degli Stati Uniti alla riforma dell’Autorità Palestinese e alla creazione di uno Stato palestinese indipendente”.
Un segnale forte lanciato a Tel Aviv, non sufficiente, però, a fermare il massacro. E, soprattutto, incapace di arrestare l’allargamento del conflitto. Nel Mar Rosso gli Houthi, in nome della solidarietà con i Palestinesi, continuano ad attaccare le navi degli alleati di Israele, subendo – sotto forma di bombardamenti aerei – la risposta militare della coalizione nata per garantire il traffico commerciale marittimo. Ora, pare vogliano tranciare i cavi sottomarini che garantiscono le connessioni Internet.
La guerra diventa ibrida e, qualche modo, sempre più totale. Lo scontro fra le due alleanze che polarizzano il globo potrebbe generare nuovi fronti. “Filostatunitensi”, impegnati a bloccarne l’espansione e “alternativi” sono gli uni di fronte agli altri, con alleanze che si allargano e toccano anche luoghi lontani. Basta pensare ad Aukus, il trattato politico – militare fra Australia, Gran Bretagna e Usa per mantenere il controllo del Pacifico ai danni della Cina, che intanto si espande nel Sud Est asiatico e nelle isole. Luoghi lontani da dove oggi si combatte. Ma anche lì, gli echi dello scontro potrebbero arrivare in qualsiasi momento e accendere la fiamma della guerra. In un’escalation che tutti dicono sotto controllo, ma che nessuno sa dove davvero potrà portare.