Il 15 dicembre gli ultimi soldati francesi hanno lasciato Timbuctù. A quasi nove anni dall’inizio dell’intervento militare francese in Mali si tirano le fila. Il Presidente francese Emmanuel Macron aveva infatti annunciato lo scorso luglio un taglio della propria presenza militare nel Sahel con la chiusura delle basi nel Nord del Mali e il progressivo ritiro, entro il 2022, degli oltre 5mila militari francesi della missione Barkhane. Ad oggi l’esercito francese ha già chiuso le sue basi a Kidal e Tessalit, nel Nord del Paese, ma mantiene la sua presenza a Gao, area altamente instabile.
Come avevamo annunciato, con il ritiro francese, è la Russia, con i mercenari della Wagner a prendere piede nell’area. Secondo varie fonti l’accordo Mali-Russia, che consentirebbe di fatto a Mosca di espandere la propria influenza in Africa occidentale, prevederebbe l’invio di circa mille contractor russi. Secondo Reuters l’accordo tra la giunta militare e la Wagner dovrebbe valere 9,15 milioni di euro al mese e garantirebbe all’azienda russa l’accesso a tre giacimenti minerari, due d’oro e uno di magnesio. I mercenari russi si occuperebbero poi dell’addestramento delle forze armate maliane (Fama) e della protezione personale di alcuni alti dirigenti pubblici del Paese.
L’arrivo della Wagner (che sembra essere già in parte avvenuto) rende i rapporti tra Unione Europea e Mali non proprio idilliaci. Il 13 dicembre 2021 l’Unione europea ha imposto una serie di sanzioni contro la compagnia militare privata vicina a Putin. Lo sforzo europeo nell’area, infatti, non finisce con il ritiro francese e l’interesse nella zona resta alto. La forza Takuba, che porterà avanti le operazioni antiterrorismo in Sahel dopo la fine della missione Barkhane, è infatti composta dai reparti speciali di diversi paesi europei e sarà attiva ad est del fiume Niger, nella zona dei “tre confini” (Mali, Niger, Burkina Faso) chiamata Liptako-Gourma.
A complicare il rapporto tra la Francia e la sua ex colonia c’è un sentimento antifrancese in crescita nel Paese e la guida politica del Mali (il colonnello Goita, a capo del Mali dopo il colpo di stato di maggio 2021) che sarebbe osteggiata in maniera più o meno evidente da Macron. A riprova di questo c’è l’annullamento della visita in Mali che il presidente francese avrebbe dovuto svolgere il 21 dicembre. Ufficialmente la causa è stata il peggioramento della situazione sanitaria in Francia ma pare che le motivazioni reali siano altre. Secondo diverse fonti di stampa locale e internazionale, la cancellazione del viaggio sarebbe dovuta a divergenze con la giunta militare sul ritiro delle truppe.
Resta poi attiva nel Paese la missione Onu Minusma. Missione composta da 15mila unità e spesso segnata da lutti. L’ultimo risale all’8 dicembre 2021, quando sette operatori hanno perso la vita a seguito di un’esplosione nel Mali centrale mentre il loro veicolo viaggiava nella regione di Bandiagara. Il portavoce delle Nazioni Unite, Stephane Dujarric, ha affermato che quello registrato l’8 dicembre è stato uno degli incidenti con più vittime dell’intera missione. Sono 230 i membri della Minusma che, dal 2013, hanno perso la vita a seguito di attentati: si tratta del numero di vittime più elevato di qualsiasi altra missione delle Nazioni Unite. La Minusma è infatti Mali l’operazione di peacekeeping più pericolosa e letale tra quelle targate Onu.
Con il ritiro della Francia sono poi in corso anche altre riorganizzazioni militari. Il Ministero degli Esteri del Mali ha affermato che il Ciad ha pianificato di dispiegare altri mille caschi blu delle Nazioni Unite in Mali per rafforzare il suo contingente nel Nord del Mali a seguito della “riconfigurazione della forza Barkhane”. Nel febbraio 2021 il Ciad ha dispiegato circa mille soldati nella regione al confine di Niger, Burkina Faso e Mali, dopo che la Francia aveva segnalato l’intenzione di ridurre la sua presenza regionale. Il portavoce del governo ciadiano, Azem Bermendoa, ha detto all’agenzia di stampa Reuters che: “Dopo il ritiro delle truppe francesi, abbiamo ritenuto urgente rafforzare la capacità operativa e tattica del nostro contingente in attesa che l’esercito del Mali e i Caschi Blu riorganizzassero i loro schieramenti”.
Intanto nel Paese la situazione umanitaria si fa sempre più disperata. Secondo il direttore nazionale della ong Care in Mali, Ely Keita, a ottobre 2021 si è assistito a un incremento dei profughi interni come mai si era registrato negli ultimi dieci anni. La ong rileva che ci siano oltre 400mila persone sfollate all’interno del Mali, quattro volte di più rispetto a quanto si registrava nel 2020. Oltre la metà sono donne e il 65% ha meno di 18 anni. Nel suo report, analizzato da Osservatorio Diritti, Keita scrive: «Oltre 1 milione di persone attualmente soffre la fame e questa cifra è destinata ad aumentare. Inoltre ci sono carenze di finanziamenti e aiuti internazionali e se non si interverrà al più presto il Mali rischia di dover affrontare una carestia senza precedenti». Questo ha anche un’altra causa: il cambiamento climatico. Alcune delle aree che erano da sempre considerate dei granai per tutta la nazione si stanno registrando lunghi periodi di siccità e in altre zone più calde si verificano piogge torrentizie che provocano gravi danni.
(Red/Est)
*In copertina MINUSMA/Harandane Dicko