Migranti o profughi, il corto circuito del futuro

di Raffaele Crocco

Dice “La Repubblica” che la Germania è in allarme. Dice che il colosso d’Europa rischia di perdere, nei prossimi anni, tre milioni di lavoratori per effetto del calo demografico e dell’invecchiamento della popolazione. Vuol dire che i posti di lavoro ci saranno ancora, ma non ci saranno persone in grado di coprirli. A questo punto, spiega “La Repubblica”, il governo tedesco pensa sia importante aprire la strada e le frontiere a forze nuove, cioè agli immigrati, cioè a quelli che vogliamo respingere.

Non so voi, ma io ho trovato l’articolo simile ad un enorme corto circuito. Quello che scrive il più importante quotidiano italiano è una non notizia. La questione della perdita di forza lavoro è sul tavolo delle cancellerie di tutti i Paesi industriali da anni. Almeno dal 2013 – noi come Atlante ne parliamo ampiamente dal 2014 – università statunitensi ed europee concordano nel dire che entro il 2050 l’intera Europa, sempre per effetto del l’invecchiamento, perderà più o meno il 40 per cento della propria forza lavoro. Lo stesso,  con percentuali più alte, accadrà in Cina e negli Stati Uniti. Il tutto significherà appunto fabbriche vuote, senza gente che le fa andare avanti… insomma una catastrofe.

La cosa quindi è vecchia. Così vecchia che quando Angela Merkel, nel 2015, aprì improvvisamente le porte di casa ai richiedenti in arrivo dalla Siria, più di un osservatore commentò maligno: la cancelliera ha iniziato il reclutamento. Reclutamento che  – stando sempre alle università di cui sopra – fra un po’ inizierà massiccio da parte degli Stati industrializzati. Non a caso, stanno nascendo agenzie del lavoro specializzate nell’andare a recuperare manodopera là dove c’è: in Africa.

Quello che accadrà, quindi, è che riporteremo qui pagandoli a peso d’oro – anche per strapparli alla concorrenza degli altri Paesi industrializzati – più o meno coloro che oggi vorremmo respingere con le buone o con le cattive. 

Il corto circuito mi pare completo. Affrontiamo il tema delle migrazioni mondiali fingendo e mentendo su tutto. Fingiamo che chi si muove lo faccia perché in fuga dalla guerra, facendo finta di non sapere che fuggire dalla fame, dalle carestia dall’assenza di libertà e di speranza è altrettanto legittimo, come dice la Dichiarazione Universale dei Diritti della Persona. Così, i migranti non li concepiamo, non li ammettiamo, sono diventati una “categoria a rischio”, da non considerare. Li vestiamo da profughi per accoglierli, per altro male. Come reagiremmo se facessero lo stesso – in altri Paesi – ai duecentomila italiani che nel 2016 hanno lasciato il nostro Paese perché in cerca di lavoro e speranza?

Con tutte le possibili contraddizioni e difficoltà, chiudendo le porte alla migrazione chiudiamo le porte alla speranza di avere un futuro decente. Il lavoro che ora manca – anche per colpa di troppi imprenditori che hanno delocalizzato, ricordiamolo – domani ci sarà. Non ci saremo più noi, però e le fabbriche saranno deserte, abbandonate per “assenza di forza lavoro”. Questo il futuro. Lo dicono i dati, lo raccontano le statistiche. Quanto tempo ancora durerà la nostra stupidità? 

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