Senza lavoro e diritti il Pianeta muore ogni giorno

L’ottava edizione dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo è uscita dalla tipografia ed è in distribuzione. Come ogni anno, sono ormai nove, racconterà quello che accade, lo stato di salute del Pianeta, cercando di spiegare le ragioni che conducono alle troppe guerre

Finalmente, ci siamo. L’ottava edizione dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo è uscita dalla tipografia ed è in distribuzione. Come ogni anno, sono ormai nove, racconterà quello che accade, lo stato di salute del Pianeta, cercando di spiegare le ragioni che conducono alle troppe guerre. Sarà come sempre di parte: la guerra la raccontiamo perché non ci piace e la raccontiamo dalla parte delle vittime, di tutti coloro che la subiscono o ne patiscono le ragioni.

Per avere il volume molte le possibilità: andare in libreria, chiederlo direttamente a noi o alla casa editrice tramite il sito o partecipare alle molte iniziative che faremo in giro per l’Italia.

Intanto, pubblichiamo l’analisi d’apertura del volume, scritta dal direttore Raffaele Crocco. È il quadro generale, utile per capire ogni singolo pezzo del racconto e,magari, per farvi venire la voglia di approfondire di più, acquisendo il volume. Buona lettura.

Dagli anni ’80 ad oggi, solo il 5% delle guerre combattute sul Pianeta sono state fra Stati nazionali. Sono state, cioè, guerre tradizionali, così come le abbiamo conosciute a scuola. Nelle stragrande maggioranza delle situazioni, a combattere sono stati gruppi, fazioni, eserciti rivoluzionari, gente che in qualche modo e per qualche ragione voleva arrivare al potere e al controllo delle risorse. I quasi dieci milioni di morti di questi decenni sono figli di questa guerra.

È cambiata la guerra, questo ormai lo sappiamo. È cambiata camminando parallela al cambiamento del mondo. L’indebolimento degli Stati nazionali ha portato alla fine degli scontri classici, della lotta per la conquista territoriale. Ora, i conflitti sono più in linea con un mondo sempre più globale, connesso e privo di confini netti.

È stato un cambio rapido, pochi decenni. Forse – lo sostengono alcuni studiosi – l’accelerazione verso il ritorno ad una società di disuguaglianze è determinato proprio dalla incapacità che abbiamo avuto e abbiamo di adeguare il nostro sistema politico alla nuova realtà. Le democrazie sono in flessione, questo è appurato, esattamente come lo sono gli Stati nazionali. Se nei primi anni del millennio c’era chi vantava la presenza di 124 democrazie ufficiali fra i Paesi riconosciuti, oggi questi osservatori ammettono che quelle democrazie sono tali solo nella forma. Nella sostanza viviamo le involuzioni di Turchia, Russia e del blocco dei Paesi ex sovietici che ora fanno parte dell’Unione Europea. La Spagna ha affrontato la crisi dell’autonomia catalana con strumenti repressivi.

La Francia del neo Presidente Macron è un Paese al limite dell’idea di “Governo forte” dell’estrema destra. La Germania ha i fascisti in Parlamento. Altrove, si formano sovrastati e sovraeserciti per combattere i Governi centrali. Il risultato è che la politica arranca in cerca di soluzioni e la democrazia resta ferma. Così tendono a crescere i motivi che portano alle guerre.

Le ragioni possiamo misurarle con precisione: disuguaglianza economica e assenza di diritti e libertà portano inevitabilmente allo scontro. E portano ad accelerare i fenomeni migratori. Per l’Unhcr, sono 64,5milioni gli uomini e le donne in movimento sul pianeta, uno ogni 113 abitanti. Al dato ufficiale, andrebbe aggiunto il numero di chi lascia la propria terra in cerca di fortuna e di lavoro. Un fenomeno anche questo – appunto – globale, a cui gli Stati rispondono alzando muri di norme o muri reali: 22 quelli attuali.

I dati inesorabili spiegano cosa sta accadendo. Per la rivista Forbes Bill Gates, Amancio Ortega, Warren Buffet, Carlos Slim, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Larry Ellison e Michael Bloomberg sono gli otto uomini – uomini badate bene, le donne sono fuori anche da questa classifica – più ricchi del mondo. Il loro patrimonio complessivo è valutato attorno a 426 miliardi di dollari, pari alla ricchezza di metà della popolazione mondiale. Per estensione – il dato è di Oxfam – l’1% della popolazione mondiale più ricca controlla il 99% della ricchezza del Pianeta.

In queste condizioni è difficile pensare che democrazia e diritti funzionino. Inoltre, il denaro ha ormai raggiunto una dimensione globale vera, è sempre più fuori dal controllo di Banche centrali e Stati. L’evasione fiscale è diventata – in ogni sua forma – parte integrante delle transazioni commerciali e finanziarie, grazie allo spostamento delle operazioni e dei conti in altri territori, al di fuori di ogni confine nazionale. La politica non controlla i flussi economici, non li governa più, facendo saltare ogni forma di rappresentanza dal basso, cioè di democrazia e condivisione.

Ancora: fra il 2015 e il 2016 le dieci più grandi multinazionali hanno, tutte assieme, realizzato profitti superiori a quanto raccolto da 180 Paesi del Pianeta. Sette persone su dieci, nel mondo, vivono in luoghi dove la disuguaglianza è cresciuta: tra il 1988 e il 2011 il reddito medio del 10% più povero è aumentato di 65 dollari, meno di 3 dollari l’anno. Invece, il reddito dell’1% più ricco è salito di 11.800 dollari, vale a dire 182 volte tanto. Morale: i ricchi diventano più ricchi, i poveri restano poveri.

Sul fronte dei diritti, quelli più elementari, le cose non migliorano. Nonostante la produzione agricola mondiale cresca dell’1,5% annuo, ci sono ancora 830 milioni di esseri umani che rischiano la morte per fame. La cosa incredibile è che, nel mondo, abbiamo in contemporanea quasi lo stesso numero di obesi: 703 milioni.

850 milioni di individui non hanno accesso facile all’acqua, nel senso che hanno il primo pozzo ad almeno mezz’ora di distanza. 600 milioni non hanno servizi igienici utilizzabili e questo lo pagano caro – in realtà lo paghiamo tutti – sul fronte della salute, con quasi 300 milioni di esseri umani che ogni anno muoiono per malattie legate all’assenza di acqua e di igiene. 212 milioni, invece, sono quelli che muoiono a causa della malaria. Due miliardi di persone non ha alcun tipo di acceso a cure mediche. Spesso, poi, l’accesso alle cure è sbarrato dai costi esagerati dei farmaci, protetti da brevetti gelosamente custoditi dalle multinazionali farmaceutiche.

In questo quadro, si inseriscono le difficoltà dal punto di vista ambientale. Nel 2017 sono andati distrutti quasi 2 milioni di ettari di foresta. Due milioni e mezzo, invece, sono gli ettari di terra perduta all’agricoltura, a causa di desertificazione e erosione dei terreni. La conseguenza è nelle migrazioni interne in crescita, soprattutto in Africa. Le proiezioni dicono che, nel continente africano, nel 2050 avremo città di 60-90 milioni di abitanti. Saranno un inferno in terra, senza cibo, senza acqua. Già ora Città del Capo, città simbolo dell’emergente Sud Africa, rischia di rimanere senza acqua entro la fine del 2018.

Vi sembra un quadro precario? Lo è. Sullo sfondo resta l’idea di un mondo sempre in rosso, in debito. L’Overshoot Day, cioè il giorno in cui finiscono le risorse che il Pianeta riesce a generare, arriva sempre prima. Nel 2017 è stato il 2 agosto, l’anno prima era stato l’8 agosto. Di fatto, consumiamo 1,6 Pianeti all’anno e entro il 2030 ne consumeremo 2. In realtà è un dato falso, come molte statistiche: a consumare due pianeti – o anche più – saranno sempre i pochi che se lo possono permettere. Gli altri, tutti gli altri, continueranno semplicemente a morire gratis di fame, guerra e malattie.

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